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Il 22 gennaio 1973 con la sentenza Roe vs Wade la Corte Suprema degli Stati Uniti dichiarò incostituzionale la legge del Texas che vietava l’aborto.
Secondo la sentenza la maggior parte delle leggi contro l’aborto negli Stati Uniti violavano il diritto alla privacy garantito dal Quattordicesimo Emendamento della Costituzione. Questa decisione ribaltò tutte le leggi statali e federali che proibivano o restringevano la possibilità di abortire in alcuni casi ben precisi. La Corte stabilì così la possibilità di abortire durante il primo trimestre di gravidanza (termine che venne stabilito convenzionalmente) per qualsiasi motivo e in caso di pericolo per la salute della donna anche oltre tale soglia.
Il caso portato alla Corte Suprema riguardava la difficile situazione di Norma Mc Corvey incinta della terza figlia.
Norma proveniente da una famiglia disagiata non arriva a concludere le scuole medie, trascorre parte della sua adolescenza in un riformatorio texano, abusa di alcol e droga, ha rapporti sessuali disordinati con partner di entrambi i sessi. A 16 anni si sposa con un violento dal quale ha due figlie date in adozione. Giunta nel 1969 alla terza gravidanza, Norma, in cerca di aiuto, si rivolge a due giovani avvocatesse di Dallas, Sarah Weddington e Linda Coffee, che portano il suo caso in tribunale al fine di creare il precedente che introdurrà l’aborto libero negli Stati Uniti: per ottenere lo scopo la Weddington non esita a inventare che “Jane Roe” (questo lo pseudonimo legale) è rimasta incinta a seguito di uno stupro di gruppo.
Il 22 gennaio 1973 viene emessa la storica sentenza “Roe vs Wade” (Henry Wade è il nome del procuratore distrettuale di Dallas), che apre i battenti ai circa 50 milioni di aborti legali eseguiti negli Stati Uniti da quel giorno ad oggi.
Nel frattempo Norma Mc Corvey partorisce la terza bambina che affida in adozione mentre la sua vita prosegue come prima, tra alcolismo, lavori saltuari e una relazione lesbica. Nel 1989 Norma viene rintracciata da un’altra avvocatessa, Gloria Allred che la porta alla ribalta e decide quindi di sostenere pubblicamente i movimenti abortisti. Tiene un discorso a Capitol Hill davanti a migliaia di persone e viaggia in giro per gli Stati Uniti per promuovere i diritti alla salute riproduttiva delle donne.
«La rete televisiva Nbc girò anche una miniserie sulla mia storia. Sarah Weddington ebbe un contratto di consulente, io non vidi un centesimo». Per anni la McCorvey è vissuta di piccoli espedienti finché non le fu offerto di aprire una clinica per gli aborti col nome di “Jane Roe”. «Accettai in cambio di sei dollari l’ora divenni la segretaria tuttofare: prendevo appuntamenti, spiegavo alle clienti che non era un bambino ma solo “una mestruazione mancata”.
Spesso mentivamo sulla durata della gravidanza perché oltre le dieci settimane le pazienti dovevano pagare il doppio. Facevano aborti anche nel secondo trimestre di gravidanza. Un giorno una ragazza alzò la testa, vide il piedino del bimbo e si mise a urlare. «Dovetti dirle che si sbagliava, ma mentre stava pagando mi puntò gli occhi arrossati in faccia: “Lo sa benissimo cos’ho visto. Mi avevate detto che non era ancora un bimbo”.
Il lavoro presso la clinica cominciò a diventare psicologicamente sempre più gravoso. “Quando andavo nella cella frigorifera e vedevo i pezzi, le gambe e le teste dei feti conficcati a quattro o cinque in un contenitore, tornavo a casa e mi ubriacavo”.
Nel 1993 alla festa per il ventennale della sentenza Roe vs Wade tenutasi alla Casa Bianca, Norma non venne neanche invitata. Agli attivisti abortisti serviva solo un nome, quello di Jane Roe.
Nel 1994, esce l’autobiografia Io sono Roe, la mia vita, Roe vs Wade e la libertà di scelta.
Proprio durante una presentazione del libro avviene il primo incontro con l’attivista pro-life Philip “Flip” Benham, pastore metodista, che in quell’occasione accusa Norma McCorvey di essere “responsabile delle morti di più di 33 milioni di bambini” (quelli uccisi dalla sentenza del 1973 fino ad allora) e di profanare il loro sangue con la vendita del libro.
Intanto nella clinica cominciarono ad accadere cose misteriose. “I miei colleghi iniziarono a sentire il rumore di bambini che correvano lungo il corridoio. Una mattina ho sentito ridere un bambino. Ho cercato il bambino ma non l’ho trovato. Alzai gli occhi al cielo e disse: "Va bene, Dio, io non so quello che stai facendo lassù, ma mi auguro che finisca. Non è divertente".
La mia preghiera spontanea mi sorprese come la risata del bambino che avevo sentito. Non avevo mai parlato con Dio. Non aveva alcun motivo per farlo. Egli era una sorta di nemico, dopo tutto. Allora, cosa ci facevo a parlare con lui adesso?
Tornai a casa e trascorsi il resto della giornata seduta. Quando la mia convivente, tornò a casa e mi chiese: "Stai bene?" Ho risposto: "Sto bene. Penso di stare perdendo la testa, ma sto bene".
Nel marzo 1995 il Rev. Philip Benham trasferisce la sede di Operation Rescue, la sua organizzazione antiabortista, in un locale adiacente alla clinica di Norma che viene molto colpita dalla serenità e dalla dedizione degli attivisti pro-life ai princìpi del cristianesimo.
Racconta Norma: «Marciavano davanti alle mie finestre con slogan come “L’aborto ferma un cuore che batte”, “L’aborto è l’olocausto americano”, «È un figlio non una scelta”.
Accadde che Norma strinse amicizia con Ronda Mackey che lavorava per Operation Rescue erano su fronti opposti ma divennero amiche. Ronda aveva una figlia, Emily, di sette anni.
«La invitai a giocare nel mio ufficio, in clinica. Lei mi chiese di andare con loro in chiesa.
La fede della bambina apre il suo cuore. E nel corso del tempo, Norma inizia a personificare la questione dell'aborto soprattutto quando Ronda le rivela che era sul punto di abortire Emily. Ronda prese l'aborto in seria considerazione a causa delle pressioni dei familiari ma i suoi ricordi circa la devastazione emotiva di un’amica delle scuole superiori a seguito di un aborto convinse Ronda a lasciar vivere Emily.
“Poco tempo dopo mentre camminavo con Ronda ho visto che portava un adesivo con scritto: "L'aborto ferma un cuore che batte", con un cuore vivido rosso sul lato. Tutto un tratto, ho visto il cuore di Emily in quella vignetta, e mi sono resa conto che "la mia legge" aveva quasi spento la giovane vita di Emily.
Questa esperienza mi aveva profondamente cambiata. L'aborto non era più un "diritto astratto". Aveva una faccia ora, in una bambina di nome Emily.
E con la fede di una bambina, Emily continuava a chiedermi se sarei andata con lei in chiesa.
Infine, ho detto di sì poiché sentivo un improvviso bisogno di Dio nella mia vita.
Il Pastore Morris Sheats ha concluso la sua omelia con un invito evangelistico ispirato al versetto Giovanni 3,16 chiedendo: "C'è qualcuno qui stanco di vivere una vita da peccatore?" Come potevo dire di no? Ero stanca da anni, ma era l'unica vita che conoscevo e ho alzato la mano. Quando ho raggiunto il Pastore Sheats, ho visto Gesù negli occhi. Mi ha fatto sentire così incredibilmente dispiaciuta per tutti i miei peccati, specialmente per il ruolo che avevo avuto nel legalizzare l'aborto. Continuavo a ripetere più e più volte, "Voglio solo annullare tutto il male che ho fatto in questo mondo. Ho dovuto affrontare la terribile realtà. L'aborto non riguarda 'prodotti del concepimento ma bambini uccisi nel grembo della madre'. Niente più primo trimestre, secondo trimestre, terzo trimestre. L’ Aborto - in qualsiasi momento – è sbagliato. E' stato così dolorosamente evidente”.
Norma McCorvey comprende di avere sbagliato tutto e decide di cambiare vita, abbandonando i vizi e convertendosi alla religione cristiana con una cerimonia battesimale officiata dallo stesso Benham in una piscina, al cospetto delle telecamere, l’8 agosto 1995 (il cammino di Norma verso la verità conoscerà alcuni anni dopo un’ulteriore e definitiva svolta, con l’abbandono del metodismo e l’ingresso nella Chiesa cattolica). Nel 1998 esce un nuovo libro di Norma, Won by Love (“Vinta dall’Amore”), il cui frontespizio recita: “Questo libro è dedicato a tutti i bambini che sono stati fatti a pezzi con l’aborto. Vi chiedo scusa perché non siete più qui, ma ora siete in Paradiso con nostro Padre. E a tutte le donne che, a causa dell’aborto, hanno avuto le loro vite cambiate. La Grazia meravigliosa può guarire il vostro cuore e anche voi potete essere vinte dall’amore”.
E ancora “Io sono cento per cento di Gesù e cento per cento pro-life. Nessuna eccezione, nessun compromesso” .
Oggi Norma McCorvey ha quasi sessant’anni ed è una delle più note militanti antiabortiste degli Stati Uniti. E’ stata arrestata più volte nel corso di manifestazioni contro le politiche abortiste.
Nel 2004, con il ricorso Roe vs Hill, Norma Mc Corvey ha impugnato la sentenza Roe vs Wade e ne ha chiesto il rovesciamento in considerazione delle conoscenze scientifiche attuali quanto alle conseguenze psicologiche e fisiche conseguenti all’aborto e presentando un migliaio di dichiarazioni giurate di donne che avendo abortito, sostengono di esserne state danneggiate.
Inoltre invitando a considerare che la scienza e la medicina prenatale hanno scoperto che il bambino sviluppa sensibilità agli stimoli esterni e al dolore molto prima di quanto nel 1973 si credeva.
Il ricorso è stato respinto con la motivazione che dopo trenta anni sono scaduti i termini per impugnare.
“Una delle confessioni che devo fare è che nel 1973 ho mentito, dichiarando di essere rimasta incinta dopo essere stata violentata da una banda. Sarah Weddington ci basò buona parte della mozione, sapendo che gli americani sarebbero certo stati a favore dell´interruzione di gravidanza per una donna stuprata. Ma non era vero. Avevo mentito. La legge che ha ucciso milioni di vite era nata da una bugia».
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