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La Santa Sede ha pubblicato un lungo comunicato per esprimere «profondo dolore» e protestare con le autorità di Pechino dopo la riunione dell'Assemblea dei rappresentanti cattolici cinesi, per aver imposto «a numerosi vescovi, sacerdoti, religiose e fedeli laici» di parteciparvi. Il Vaticano afferma che «le modalità della sua convocazione e il suo svolgimento manifestano un atteggiamento repressivo nei confronti dell'esercizio della libertà religiosa, che si auspicava ormai superato nell'odierna Cina», deplorando «la persistente volontà di controllare la sfera più intima dei cittadini, qual è la loro coscienza, e d'ingerirsi nella vita interna della Chiesa cattolica». Un atteggiamento che appare come «un segno di timore e debolezza», un'«intransigente intolleranza».
Dopo aver ricordato che la Santa Sede aveva più volte invitato vescovi e fedeli a non partecipare, il comunicato afferma che «ognuno di coloro che erano presenti sa in che misura è responsabile davanti a Dio e alla Chiesa. I vescovi, in particolare, e i sacerdoti saranno anche posti di fronte alle attese delle rispettive comunità, che guardano al proprio pastore e hanno diritto di ricevere da lui guida e sicurezza nella fede e nella vita morale». Ma il Vaticano, che ha indagato su quanto avvenuto e sulle pressioni a cui sono stati sottoposti i pastori della Chiesa cinese, aggiunge: «È noto, peraltro, che molti vescovi e sacerdoti sono stati forzati a partecipare all'Assemblea. La Santa Sede denuncia questa grave violazione dei loro diritti umani, in particolare della loro libertà di religione e di coscienza.
Inoltre, la Santa Sede esprime la sua stima più profonda a quanti, in diverse modalità, hanno testimoniato la fede con coraggio e invita gli altri a pregare, a fare penitenza e, con le opere, a riaffermare la propria volontà di seguire Cristo con amore, in piena comunione con la Chiesa universale». Si invitano anche i fedeli a «rimanere saldi e pazienti nella fede» e a «prendere atto delle pressioni subite da molti dei loro pastori e a pregare per loro; li esorta a continuare coraggiosamente a sostenerli di fronte alle ingiuste imposizioni che incontrano nell'esercizio del loro ministero».
Un passaggio con il quale si cerca di non dividere la Chiesa e dal quale traspare ancora una volta la consapevolezza per i soprusi subiti sia dai vescovi cosiddetti «clandestini», sia da quelli cosiddetti «ufficiali». Il Vaticano ribadisce di non riconoscere il Consiglio dei vescovi cinesi né l'Associazione Patriottica, organismi che non corrispondono alla fede cattolica, come aveva scritto il Papa nelle lettera alla Chiesa in Cina del 2007. E deplora che proprio a presiedere il Consiglio dei vescovi, la cosiddetta «conferenza episcopale cinese», sia stato designato un vescovo illegittimo, ricordando come «i principi di indipendenza e autonomia, autogestione e amministrazione democratica della Chiesa» sono inconciliabili con la dottrina cattolica.
Nel comunicato si dice anche che l'Assemblea ha reso più arduo «il cammino di riconciliazione fra i Cattolici delle "comunità clandestine" e quelli delle "comunità ufficiali", provocando una ferita profonda non solo alla Chiesa in Cina, ma anche alla Chiesa universale. Si riafferma «la volontà di dialogare onestamente» con il governo cinese, precisando però che «atti inaccettabili ed ostili come quelli appena menzionati provocano nei fedeli, dentro e fuori della Cina, una grave perdita di quella fiducia che è necessaria per superare le difficoltà e costruire una relazione corretta con la Chiesa, a vantaggio del bene comune».
Appare evidente dal comunicato, che la responsabilità di quanto accaduto in Cina nell'ultimo mese è attribuita interamente al governo, mentre, per ciò che riguarda la Chiesa, si esprime la consapevolezza del fatto che molti vescovi sono stati costretti a partecipare all'Assemblea e alla consacrazione episcopale illegittima che l'ha preceduta. L'intenzione del Vaticano non di interrompere il dialogo, ma di continuarlo nella chiarezza, facendo comprendere alle autorità cinesi che come il Papa, attraverso la comunione con i vescovi, non intende fare indebite ingerenze negli affari cinesi, allo stesso tempo il governo non deve ingerirsi nelle questioni interne alla vita della Chiesa.
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