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HITLER, PREDICATORE TOTALMENTE ANTICATTOLICO
Fin dall'inizio la rivoluzione nichilista hitleriana agì come un polo specularmente opposto rispetto ai valori della Chiesa Cattolica
di Daniele Zappalà

Una serie ormai lunga di studi dagli approcci variegati mostra che il nazismo e la sua ideologia furono essenzialmente pagani. Ma l'ascesa di Hitler avvenne nondimeno in terra cristiana e le condizioni precise di quest'innesto tragico continuano ad interessare gli studiosi. Fra le poste in gioco, fra l'altro, vi è pure quella di sgombrare il campo da leggende nere e libelli anticristiani di ogni tipo. Una nuova interpretazione giunge adesso dalla Francia. In uno studio intitolato Il controcattolicesimo di Adolf Hitler , appena pubblicato da Cerf nel quadro di un volume dedicato alle Nascite del totalitarismo, il filosofo Paul Thibaud s'interroga sul rapporto del nazismo «con una sorta di trascendenza». Appena ripreso dalla rivista Esprit , lo studio sta facendo molto discutere, anche per il suo taglio sintetico che suscita elogi ed obiezioni. Thibaud sottolinea innanzitutto che agli albori il nazismo dovette molto all'oratoria hitleriana e alla sua capacità manifesta di suscitare un diffuso trasporto emotivo nelle folle. Al contempo, «questo ciclone si è formato fra Vienna e Monaco, in terra di Controriforma». È dunque legittimo, secondo il filosofo, mettere a confronto la 'culla' geografica e la forma 'oratoria' del nazismo. Ma secondo Thibaud Hitler tentò di coniugare fin dall'inizio un discorso dai contenuti fortemente antievangelici e anticristiani con un'oratoria che a tratti imitava grossolanamente lo stile dei predicatori.
Sarebbe cominciata così un'autentica «manovra hitleriana nei confronti del cattolicesimo che comporta tre aspetti, o tre tappe: neutralizzazione, asservimento, sostituzione». A livello locale, questo «gioco ostile» sarebbe stato presto affiancato dalla coercizione e dalla deportazione di «molti preti tedeschi a Dachau». L'imitazione dello stile predicatorio, inoltre, restò sempre ai limiti del macchiettistico: «Quest'arte di mimare per captare, di snaturare per appropriarsi è ispirata dal disprezzo. Il discorso hitleriano è come un mercatino dove tutto è svalutato e messo fra gli scarti prima di essere scelto e promosso dal nuovo maestro».
In questo primo confronto con un contesto storicamente segnato dal cattolicesimo, Hitler affila le proprie armi per la conquista dello Stato. La quale, secondo Thibaud, assumerà a sua volta la forma di uno svuotamento di civiltà: «Il meccanismo generale di questo totalitarismo decentralizzato può essere identificato come un'inversione del ruolo dello Stato. Al posto di regolamentare e di razionalizzare, lo Stato nazista seduce togliendo le censure, lavorando così all'imbarbarimento della società». Per il filosofo, il regime trovò il proprio ancoraggio più saldo nei fondali interiori saturi di frustrazione di una parte della società tedesca. In particolare, la borghesia impoverita e spaventata dagli effetti della Pace di Versailles e «pronta ad esprimere attivamente il proprio sgomento». Fin dall'inizio, secondo Thibaud, la rivoluzione nichilista hitleriana agì perfettamente come un polo negativo rispetto ai valori della Chiesa cattolica. È proprio per questo che quanto accadde in Germania assomiglia così tanto, nella sua dinamica, ai «movimenti apocalittici» medievali, pronti anch'essi a snaturare e capovolgere il messaggio cristiano, ricostruendo a livello sociale scenari immaginari di fine dei tempi. Per Thibaud, anche quella hitleriana fu una sorta d'«invenzione» di stampo apocalittico ed essa «sarebbe rimasta un'utopia senza la designazione del nemico», fino a che gli ebrei non rappresentarono il «nemico per eccellenza» designato dal nazismo. Al contempo, a differenza dei vecchi millenarismi medievali, il regime volle oscurare i riferimenti cristiani.
Secondo Thibaud, la nuova visione del mondo hitleriana coincide con la teoria della razza, la quale «nella nuova apocalittica ha sostituito il cristianesimo». Inoltre, «l'odio antiebraico di Hitler aveva essenzialmente radici non cristiane», anche se, sostiene il filosofo, «l'antigiudaismo silenzioso» di tradizione cristiana restava iscritto come una traccia nelle mentalità ed «ha impedito alla Chiesa cattolica di opporsi frontalmente alla 'designazione' fatale degli ebrei come bersaglio la cui scelta identificava il movimento nazista». Nelle conclusioni, l'analisi lascia ampiamente il posto a riflessioni più personali anche ispirate dall'attualità. Già presidente dell'Amicizia giudeo-cristiana di Francia, Thibaud sostiene fra l'altro, riferendosi particolarmente al contesto francese, che «il pregiudizio in favore di una continuità lineare fra cristianesimo e nazismo è favorito dal desiderio che abbiamo di emendare il nostro passato». Ma un'altra risonanza di attualità del testo spicca nelle ultime ore. La tesi principale di Thibaud, ovvero la volontà nazista di «sovvertire il cristianesimo», pare quasi commentare i tristi ricordi giovanili evocati la settimana scorsa da Benedetto XVI davanti ai delegati della Congregazione mariana di Ratisbona: «Sembrava che il continente fosse nelle mani di questo potere che poneva in forse il futuro del cristianesimo», ha detto il Pontefice.

 
Fonte: Avvenire, 12/06/2011