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"Incinta dopo tumore grazie a ovuli congelati". Questo il titolo che campeggiava l'altro giorno (27 settembre 2011) sulle pagine del quotidiano della Conferenza Episcopale. Senza formulare alcun commento critico, Avvenire ha dato ampio risalto a quanto accaduto a Bologna, dove una donna è riuscita ad avere una gravidanza dopo essere guarita da un cancro al seno.
Sembrerebbe una bella storia, se non fosse che il lieto evento è stato raggiunto con le tecniche di fecondazione artificiale, producendo embrioni in vitro. Dettaglio che non ha turbato Avvenire, che anzi ha parlato di "un altro successo delle tecniche di procreazione assistita" che "dà nuove speranze di diventare madri a migliaia di donne che superano il tumore al seno e cure che spesso rendono sterili".
Queste "nuove speranza" passano attraverso la provetta, come spiega Eleonora Porcu, responsabile del centro di cura della sterilità all'ospedale Sant'Orsola-Malpighi di Bologna. Porcu, cattolica, allieva del professor Flamigni, è una figura di spicco di Scienza e Vita , di cui è uno dei soci fondatori.
Racconta Elena Porcu: "Scongelammo quattro ovociti e ottenemmo tre embrioni che trasferimmo nel grembo della mamma. Dopo 12 giorni gli esami rivelarono che uno di questi embrioni stava crescendo. La gravidanza era in corso. Mamma e papà sono felici".
Avvenire riferisce questo quadretto idilliaco senza colpo ferire, e i lettori sono autorizzati a pensare che la provetta secondo il "rito bolognese" sia buona e giusta. Nessun cenno al fatto che, per un embrione che "sta crescendo", almeno due siano morti. La Congregazione per la dottrina della fede, nel documento Dignitas Personae (2008), al n. 15, ha affermato che questa mortalità di embrioni connessa all'uso della provetta non è paragonabile all'aborto spontaneo, e che queste morti costituiscono un grave motivo di censura morale alle tecniche di fecondazione artificiale perché sono previste e volute. Inoltre, è evidente che la produzione di una pluralità di embrioni per ottenere un "bambino in braccio" rivela un uso strumentale degli esseri umani concepiti.
Il fatto che il quotidiano cattolico abbia parlato in questi termini della produzione di esseri umani in provetta non è passata inosservata: il bioeticista Maurizio Mori sull'Unità (28 settembre 2011) ha salutato con soddisfazione il fatto che, finalmente, i cattolici accettano il congelamento di ovociti e il ricorso alla provetta.
In effetti, l'articolo di Avvenire ha del clamoroso. Esso certifica il processo di slittamento di una parte importante del mondo cattolico verso la legittimazione della fecondazione artificiale, purché attuata secondo una qualche forma di male minore. Nel caso specifico, Avvenire celebra il congelamento degli ovociti, che permette di evitare il congelamento di embrioni. Il cosiddetto "male minore" diventa un bene, e coloro che lo attuano diventano un modello da imitare. Il criterio di giudizio non è più rappresentato dalla legge morale naturale, o dal Magistero, ma dalla legge 40 del 2004: se una tecnica è conforme al dettato legale, allora è automaticamente buona e fonte di "nuove speranze".
Senza dimenticare che le tecniche di fecondazione artificiale comportano la sostituzione dell'atto coniugale con un procedimento tecnico, e portano all'esistenza esseri umani che si trovano fuori dall'unico luogo in cui un embrione dovrebbe trovarsi: il corpo della madre.
Verità e Vita sta denunciando da anni il clima di legittimazione della fecondazione artificiale che si sta diffondendo in un mondo cattolico sempre più appiattito sulla legge 40, e sempre più interessato a trovare una "via cattolica" alla provetta, che magari serva anche a legittimare il ricorso alla fivet in ospedali e cliniche cattoliche. Ancora una volta Verità e Vita lancia un appello pubblico affinché chi può intervenga quanto prima per fare chiarezza: i cattolici si meritano qualche cosa di meglio che l'apologia del male minore.
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