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Ci mancava Nichi Vendola. In un'intervista del 22 ottobre 2011 al fido Curzio Maltese di Repubblica, il governatore della Puglia – e aspirante candidato primo ministro, se nel PD si faranno le primarie – ricostruisce a modo suo le origini dei black bloc, attribuendo un ruolo di rilievo a frammenti «estrema destra sociale» reclutati nelle curve degli stadi, dove com'è noto gli slogan spesso non sono di sinistra. Ma su tutta la questione dei black bloc c'è una gran confusione.
La divisione netta e precisa nei cortei degli indignados – come in quelli precedenti dei no global, e nel fenomeno No TAV in Val di Susa – fra manifestanti buoni, pacifici e che portano fiori e black bloc che distruggono le camionette della polizia e magari anche le statue della Madonna è pura propaganda. Chi ha studiato il fenomeno lo sa bene. Nei cortei degli indignados a un estremo ci sono manifestanti interessati esclusivamente a specifiche rivendicazioni, molti dei quali effettivamente non hanno simpatia per la violenza. All'altro estremo ci sono violenti di professione, il cui scopo è sfasciare tutto utilizzando ogni rivendicazione come pretesto. Ma né i primi né i secondi costituiscono la maggioranza dei manifestanti. La maggioranza è costituita da indecisi, che non hanno un programma prestabilito di violenza ma che, quando si manifesta, si rifiutano di condannarla e in parte anche la applaudono, così come c'è chi applaude invece le forze dell'ordine. Come ha scritto Andrea Tornielli sul suo blog, nella sua cronaca dei fatti di Roma del 15 ottobre, «non centinaia ma migliaia di giovani violenti e organizzati» si sono impossessati della manifestazione.
La parola black bloc può a sua volta essere usata in modo fuorviante per bollare con un'etichetta i presunti «pochi» violenti e distinguerli dalla maggioranza di «buoni». I manuali si affannano a spiegarci che black bloc non è una parola che identifica persone. Identifica una tattica di lotta che consiste nel rendersi irriconoscibili con sciarpe, passamontagna e sciarpe da motociclista, di solito di colore nero e accompagnate da abiti neri. Questo costume non ha solo uno scopo di travisamento per non farsi identificare dalla polizia. Passando e ripassando, su e giù per le manifestazioni, la tattica del black bloc riesce anche a far credere a poliziotti, giornalisti ed eventuali manifestanti di diverso orientamento che il «blocco» è più numeroso e potente di quanto non sia, dal momento che l'occhio – anche quello della telecamera – indugia più volentieri su chi porta un uniforme.
Ma chi ha inventato questo semplice eppure efficace strumento di distorsione cognitiva? L'espressione black bloc – in tedesco der schwarze Block – fu coniata dalla polizia tedesca oltre trent'anni fa per designare, come si è accennato, non un movimento ma una tattica sviluppata nel 1980 nel corso delle proteste dopo lo smantellamento, il 4 giugno di quell'anno, della cosiddetta Repubblica Libera del Wendland, un campo di anarchici, ecologisti ed estremisti di sinistra che occupava a Gorleben la zona destinata a un deposito di scorie nucleari. In particolare la tattica black bloc fu attribuita dalla polizia tedesca agli autonomen, versione tedesca della nostra area dell'autonomia, che aveva fra i suoi ispiratori teorici italiani di un marxismo radicale e antimondialista come Toni Negri e Mario Tronti.
Uno degli usi di maggiore successo della tattica black bloc negli anni 1980 fu la protesta contro la visita del presidente americano Ronald Reagan (1911-2004) a Berlino Ovest nel 1987. La tattica fu usata in quell'occasione da gruppi certamente egemonizzati dagli autonomen, i quali ironicamente scandivano slogan comunisti senza sospettare che di lì a due anni il muro di Berlino sarebbe caduto.
Dalla Germania la tattica è passata in tutta Europa, negli Stati Uniti, in Canada, in Australia. Ma la letteratura di polizia più antica non ha dubbi su a chi attribuire l'invenzione di questa tattica e delle relative uniformi: all'estrema sinistra degli autonomen nelle sue varie declinazioni nazionali e internazionali. Negli anni 1990 diventa più importante una componente anarchica, peraltro presente fin da principio, dal momento che la tattica dei black bloc è lodata e divulgata dal movimento delle TAZ (temporary autonomous zones, «zone temporaneamente autonome»), un concetto reso popolare da un libro con lo stesso titolo pubblicato nel 1991 dal teorico statunitense dell'anarchismo Hakim Bey. Tipiche TAZ, da difendere in caso di attacchi della polizia con manifestazioni che usano la tecnica black bloc, sono secondo Hakim Bey i centri sociali, idealmente «zone autonome» in quanto sottratte ai normali controlli delle autorità dello Stato, che peraltro esistevano già da vent'anni come frutti dell'immediato dopo-1968 (a Milano, il Leoncavallo venne fondato nel 1975).
Dunque la tattica black bloc è associata al suo sorgere particolarmente agli autonomi e ai centri sociali. L'accenno di Vendola all'«estrema destra sociale» non è del tutto inventato, perché in Germania, in Austria e anche in Italia – nell'ambito del frammentarsi in mille rivoli di una destra «nuova», nel senso che fa sue molte parole d'ordine, temi e stili della sinistra, di cui abbiamo parlato su La Bussola Quotidiana a proposito di una recente opera storica di Giovanni Tarantino – la tattica black bloc e la partecipazione a manifestazioni di protesta a fianco di autonomi e centri sociali ha visti coinvolti anche esponenti di questa curiosa «destra di sinistra». Sono nati del resto in Europa anche centri sociali ispirati al fascismo, il più importante dei quali è l'italiano CasaPound, nato a Roma nel 2003 e che si dichiara del resto al di là dei concetti tradizionali di destra e di sinistra.
Questo non significa che Vendola abbia ragione. Nella loro stragrande maggioranza i gruppi che partecipano a cortei e adottano la tattica black bloc sono di sinistra e d'ispirazione marxista, e questo è vero anche per la grandissima maggioranza dei centri sociali. I gruppi e gruppuscoli di estrema destra – se la definizione è giusta, perché si tratta di una «destra di sinistra» che oggi in parte rifiuta la stessa espressione «destra» – che usano la stessa tattica e partecipano alle stesse manifestazioni, del resto spesso con difficoltà perche tra i centri sociali di sinistra è ancora molta viva quella che una volta si chiamava «vigilanza antifascista», sono una piccola minoranza rispetto alla componente di estrema sinistra. E certo non sono alle origini del fenomeno. Vendola gioca con le parole: torna comodo parlare sempre e solo di un «blocco nero» per far dimenticare che nella loro grande maggioranza i violenti, anche se si vestono di nero, sono ideologicamente piuttosto un «blocco rosso».
Ripetiamolo ancora una volta: non esiste, a rigore, un movimento black bloc. Si tratta di una tattica per scontri di piazza, che può essere utilizzata da gruppi molto diversi. Ma che di fatto è utilizzata, nella stragrande maggioranza dei casi, da un'area dell'autonomia e dei centri sociali di estrema sinistra.
Quanto agli indignados, come abbiamo già avuto occasione d'indicare su La Bussola Quotidiana, si tratta di un movimento caratterizzato, fin dalle sue origini, da un grande vuoto di proposte e da una subalternità a miti «politicamente corretti» che porta spesso allo scontro con la Chiesa Cattolica, il che naturalmente non significa che alcune delle proteste non si rivolgano contro abusi reali, come quelli della finanza priva di regole o di una certa grande industria che in tempi di crisi cerca di scaricare il peso degli inevitabili sacrifici su altri. Ma la protesta resta vuota senza proposta. E una protesta senza proposta è destinata a farsi egemonizzare dalle ultime incarnazioni della galassia di TAZ, autonomi, centri sociali e altri gruppi attualmente o potenzialmente violenti, abituati da usare da anni la tattica black bloc. E che non intendono abbandonarla, perché funziona.
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