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TRE ESEMPI CONCRETI DELLA TECNOCRAZIA AL POTERE
California, Piemonte, Francia: ce ne parla il direttore del Cesnur
di Massimo Introvigne

L’anno scorso, nel 2009, Benedetto XVI ha donato alla Chiesa e agli uomini di retta ragione l’enciclica "Caritas in veritate", che ha al suo centro la denuncia della tecnocrazia, qualche cosa – secondo il Papa – che occupa il vuoto lasciato dalla crisi delle ideologie del secolo XX e che sta diventando a sua volta l’ideologia peggiore di tutte. La parola tecnocrazia evoca subito l’ingegneria genetica e gli scienziati pazzi di qualche film in bianco e nero di tanti anni fa. Certo, Benedetto XVI denuncia le “ingiustizie inaudite” di una bioetica impazzita. Ma non manca di citare anche la tecnocrazia imperante nei media, nella politica, nell’amministrazione dello Stato, dovunque poteri forti che non operano per il bene comune e che non sono stati eletti dai cittadini pretendono d’imporre il loro dominio ideologico.
È questa tecnocrazia che sta segnando l’estate del 2010, confermando quanto fosse profetica l’intuizione del Pontefice. Gli esempi sono quotidiani, ma basterà citarne tre.
ESEMPIO NUMERO UNO
In California nel 2008 un referendum ha inserito nella costituzione il divieto del matrimonio omosessuale. Il referendum è stato vinto dai sostenitori della famiglia tradizionale, dopo una lunga campagna in cui le organizzazioni cattoliche hanno giocato un ruolo fondamentale. Ora un giudice californiano – per pura coincidenza omosessuale anche lui – dichiara che il referendum è irrilevante, che milioni di dollari per la campagna elettorale referendaria sono stati spesi invano e che il matrimonio gay dev’essere imposto per sentenza agli elettori che non lo vogliono. Se i californiani si sono espressi diversamente nelle urne sono retrogradi e bigotti, e spetta ai giudici educarli.
ESEMPIO NUMERO DUE
In Piemonte la legge elettorale regionale stabilisce che le liste che abbiano nelle loro fila almeno un consigliere elettorale uscente non debbano raccogliere firme per presentarsi alle elezioni. L’UDC, che nel 2005 faceva parte della coalizione di centro-destra, nel 2010 si è spaccato. La direzione del partito ha deciso di schierarsi con il centro-sinistra. Il capogruppo in regione, l’onorevole Scanderebech, è rimasto con il centro-destra e ha presentato una sua lista chiamata “Al centro con Scanderebech”. Contando su un consigliere regionale uscente, questa lista si è presentata alle elezioni senza raccogliere firme. I suoi voti hanno contribuito a far vincere il candidato di centro-destra Roberto Cota. Ora i giudici del TAR di Torino ammettono che la legge elettorale piemontese considera sufficiente a evitare la raccolta delle firme la presenza in lista di un consigliere regionale uscente, non importa se eletto cinque anni prima per la stessa lista o per un’altra. Ma affermano, con sfoggio di citazioni in inglese, che sopra alla lettera della legge c’è un dovere di “fairness” per cui, avendo lasciato l’UDC e cambiato partito, Scanderebech quelle firme avrebbe dovuto raccoglierle. Dunque i suoi voti non valgono e il TAR minaccia di togliere la vittoria al presidente leghista Cota per assegnarla alla sinistra o ripetere le elezioni. Scanderebech afferma giustamente che semmai non è stato lui ad avere tradito la “fairness” ma l’UDC, i cui candidati cinque anni fa erano stati eletti nel centro-destra. Ma il problema più grave è un altro. Né nella legge elettorale piemontese né nella Costituzione c’è traccia di un dovere di “fairness” dei politici, che cambiano partiti e alleanze con notevole anche se poco simpatica frequenza. I giudici s’inventano qualche cosa che nelle leggi italiane non esiste per ribaltare la vittoria elettorale di un governatore del Piemonte come Cota, da subito inviso ai poteri forti locali e nazionali.
ESEMPIO NUMERO TRE
In Francia il presidente Sarkozy – finalmente riprendendo a fare politica e smettendo di occuparsi solo della moglie – chiude metà dei campi Rom e dispone che sia tolta la cittadinanza a quegli immigrati che, avendola recentemente conseguita, commettono reati. La maggioranza dell’opinione pubblica applaude. Ma la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, quella per intenderci che vuole vietare i crocefissi nelle aule scolastiche italiane, assicura che ora Sarkozy avrà a che fare con lei.
Questa Corte, contrariamente a quanto molti pensano, non è un organo dell’Unione Europea. Ne fanno parte anche Paesi extracomunitari come la Russia o la Turchia. Deriva da un’oscura convenzione internazionale del 1950. I suoi giudici non sono eletti da nessuno e non si capisce bene a chi rispondano. Dovunque, tutti i giorni, lo schema si ripete. Tecnocrati di origine non elettiva cercano di rovesciare risultati elettorali e decisioni di governanti liberamente scelti dai cittadini. In Italia il governo Berlusconi ha capito il gioco, e ha cercato di prendere qualche provvedimento per arginare le derive tecnocratiche dei giudici politicizzati. Proprio per questo, poteri forti e fortissimi si stanno muovendo per disarcionarlo.

 
Fonte: Cesnur, 8 agosto 2010