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La notizia tiene ormai banco da qualche settimana: sarebbero intorno alle 4.000-4.300 le protesi al seno difettose di marca Pip (Poly Implants Prothesis) vendute in Italia. La vicenda fa sorgere una domanda di carattere generale e previa al brutto fattaccio di cronaca clinica. Il quesito si pone in questi termini: quando è lecito dal punto di vista morale intervenire sul nostro corpo per modificarlo?
Le tracce che seguiremo per tentare di dare una risposta sono per lo più ipotesi che non sicuri assiomi veritativi. O meglio: alcune indicazioni sono certe altre ci paiono degne di maggiore riflessione futura.
Scopo terapeutico. Se intervengo sul mio corpo al fine di curarlo l'azione è sicuramente buona. Lo scopo terapeutico può essere volto da una parte per salvare la vita: l'intervento potrà essere sia di tipo demolitivo (amputazione di un braccio per evitare che la cancrena investa organi vitali), sia di tipo additivo (impianto di un cuore artificiale a seguito a sua volta di un intervento demolitivo, come l'asportazione del cuore o parte di esso malato). Oppure la modificazione del mio corpo può essere mirata al fine di tutelare il bene salute: anche in questo caso l'intervento può essere di tipo demolitivo (togliere le tonsille) oppure additivo (poniamo mente alle protesi per eccellenza: gli occhiali). Quando c'è un'azione additiva per uno scopo terapeutico, l'azione in genere ripristina una funzione persa o messa in pericolo: pensiamo a cuori e arti artificiali, agli occhiali etc.
Scopo estetico: ripristino della funzionalità estetica. Analizziamo ora il caso di intervento per ripristinare la completezza estetica di una persona. Il corpo umano ha una sua naturale e dunque fisiologica completezza, non solo quindi funzionale di tipo meccanico (come visto prima) ma anche estetico. Completezza che per quanto è possibile deve essere conservata oppure, ed è il caso che ci interessa, deve essere ripristinata. Tutti noi abbiamo due braccia, due occhi, un naso etc. Perderli o menomarli reca un danno alla completezza della persona, alla sua armonia estetica. Quindi nulla osta ad intervenire anche con protesi per ripristinare, non più la funzione meccanica ad esempio di un arto perso, bensì la funzione estetica naturale, cioè originaria, di una parte del nostro corpo ad esempio distrutta a seguito di un incidente (sfondamento della cavità orbitale dell'occhio) oppure a seguito di un'operazione chirurgica (mastectomia, cioè amputazione del seno ad esempio a causa di una neoplasia), oppure mancante dalla nascita. Quindi semaforo verde sul piano morale per la sostituzione dell'occhio ormai perso con uno artificiale e per le protesi mammarie dopo un intervento chirurgico per togliere un carcinoma al seno. In questi casi non si ripristina una funzionalità meccanica: l'occhio artificiale non permetterà al paziente di vedere, né il seno di secernere latte. Qui si ripristina una funzionalità estetica naturale.
Scopo estetico: miglioramento dell'estetica. Qui la materia inizia a diventare insidiosa. Procediamo per gradi. Nel caso precedente abbiamo visto che l'intervento era volto a reintegrare una parte del corpo persa al fine di ricostruire un'armonia del corpo compromessa per incidenti, operazioni chirurgiche etc. Ora occupiamoci invece del caso in cui non si agisce per ripristinare esteticamente una parte del corpo persa, ma per migliorarne sempre dal punto di vista estetico una già esistente. Due sono i criteri di liceità sotto il profilo morale. Un primo oggettivo ed un secondo soggettivo.
Dal punto di vista oggettivo vi sono imperfezioni fisiche che non compromettono la funzionalità degli organi o degli apparati ma che non rientrano in alcuni standard previsti dalla letteratura medica. Pensiamo ad una asimmetria tra le due orbite oculari (un occhio un poco più alto dell'altro) ed altre anomalie simili. Le funzionalità non sono compromesse e nemmeno si tratta di ripristinare parti del corpo andate distrutte o mancanti geneticamente. Qui si tratta di eliminare un difetto ritenuto tale dalla medicina attraverso la comparazione di parametri scientifici: l'imperfezione è oggettiva. In questi casi l'intervento è lecito dal punto di vista morale (ovviamente rispettando il divieto di accanimento terapeutico, cioè di sproporzione tra mezzi impiegati e risultati sperati).
La questione diventa spinosa – ed interessa il caso delle protesi al seno "per sentirsi più belle" – quando il difetto è giudicato tale non più dalla medicina ma dalla persona medesima. Una prima di seno non è un'imperfezione fisica oggettiva, ma può essere percepita tale dalla donna. Quando allora è lecito intervenire per migliorare questi difetti ritenuti tali dal soggetto?
Iniziamo ad eliminare criteri di giudizio erronei. C'è chi afferma che gli interventi di mastoplastica additiva, al di fuori dei casi menzionati prima, sono da rifiutare sul piano morale perché alterano artificialmente l'aspetto di una persona. Se è per questo anche il fondotinta e il rimmel lo alterano artificialmente. Anche lo sport e una sana dieta sono strumenti assai artificiali per modificare il nostro corpo.
C'è chi aggiunge che gli interventi di modificazione dell'aspetto sono morali allorchè valorizzano la naturale bellezza della persona, non aggiungono nulla alla fisiologica bellezza umana, come invece fanno gli interventi al seno (che tra l'altro possono essere volti anche alla diminuzione del volume dello stesso). Ma sono due le obiezioni a tal proposito. La prima: anche il fondotinta, a rigore, aggiunge qualcosa – il materiale minerale di cui è fatto: titanium dioxide, mica, iron oxides, etc. – alla naturale bellezza della pelle. Che dire poi delle extension per capelli e ciglia? Sono sicuramente interventi additivi.
A tal proposito è da rigettare anche la controreplica che un seno rifatto è per sempre e il fondotinta no. A parte il fatto che la donna potrebbe ad un certo punto decidere di eliminare la protesi, non si comprende il motivo per cui un intervento di modificazione perenne è di per sé immorale ed uno temporaneo è di per sé da accettare.
Seconda obiezione: valorizzare significa, in questo ambito, o aggiungere un plus di bellezza ad una bellezza già esistente, cioè aggiungere un valore estetico. E allora la critica non ha ragione d'essere perché è autoconfutatoria. Oppure valorizzare significa svelare, scoprire, mettere in risalto una bellezza sì già esistente ma un poco velata. Ma allora perché così non potrebbe essere anche nel caso di un aumento di taglia del seno? Non potrebbe essere un modo per dare risalto alla bellezza di un seno naturale? Infatti non si aggiungerebbe un nuovo seno, sostituendolo ad uno precedente, ma si valorizzerebbe, aumentandone le dimensioni, quello già esistente.
La strada per comprendere quando un'imperfezione fisica, percepita tale solo dal soggetto, può lecitamente indirizzare ad un intervento di modificazione del proprio corpo – che va dal rimmel ai seni rifatti – passa invece dalle motivazioni che spingono all'intervento stesso. Se queste non sono etiche allora anche l'intervento non lo sarà. Facciamo il caso di Tizio che ha un neo vistoso sulla punta del naso o le orecchie a sventola: la medicina gli dirà che ciò rientra nei canoni estetici. Ma la sua percezione sarà diversa: tutti appena lo guardano pensano a quel neo o a quelle orecchie così brutte. E' lecito l'intervento di miglioria? No, se è dettato da vanità, da insicurezza, da manie di perfezionismo estetico, etc. Sì, se è dettato dalla consapevolezza che ad esempio dal punto di vista sociale la vita di Tizio ne avrà un sicuro giovamento. No, se sarà un'ossessione: tutta la vita di Tizio dipende da quel neo. Sì se Tizio si dice: "Anche se me lo tenessi non sarebbe un dramma". Cioè dare al difetto il suo peso reale, seppur relativamente all'esistenza particolare di Tizio.
Questo criterio però non deve essere inteso in senso assoluto. Le motivazioni – quindi i fini soggettivi perseguiti – che spingono all'intervento sono importanti, ma vi sono fini più importanti che hanno la precedenza nella vita di un uomo. Spieghiamoci meglio. Noi abbiamo il dovere morale di diventare sempre più belli. Una delle motivazioni è di carattere etico: tutti noi per natura tendiamo al totale e quindi anche fisico perfezionamento di noi stessi (tenuto ovviamente conto delle contingenze: età, sostanze economiche, luoghi e tempi dove si svolge la nostra esistenza etc.). Un'altra motivazione ha un suo fondamento escatologico-teologico: noi qui sulla terra dobbiamo già tendere alla condizione paradisiaca che vivremo – si spera – nell'Aldilà. In Paradiso diventeremo bellissimi anche fisicamente una volta che il nostro corpo risorgerà (alcuni di noi – ammettiamolo – saranno irriconoscibili). Nel Regno dei Cieli non ci sarà posto per i brutti (nel senso che là tutti diventeremo belli). Questo dovere morale però è contingente. Detto in parole povere tale obbligo non è da soddisfare sempre e comunque, costi quel che costi. Ci sono altri doveri più importanti che se entrano in conflitto con questo è bene privilegiare. Così, tornando a Tizio, se l'operazione di asportazione del neo sottraesse risorse economiche preziose ai suoi cari, dovrebbe rinunciare all'operazione oppure rimandarla. Se si incaponisse significherebbe che le sue motivazioni non sono limpide dal punto di vista etico.
Quest'ultimo passaggio ci permette di argomentare intorno al problema della chirurgia estetica. Il più delle volte albergano nelle menti delle donne e degli uomini che si sottopongono a questi interventi motivazioni non eccelse: mancanza di accettazione di sé, disistima, vanità, immaturità, sindrome da fashion victim, superbia, classismo, etc. Le spese ingenti, il carattere di intrusività, la complessità dell'intervento, i rischi paventati sono tutti ostacoli i quali, se si vogliono superare, mettono in luce che le motivazioni soggiacenti sono per lo più non apprezzabili sotto il profilo morale. Insomma: ci si tiene troppo a questo seno rifatto, ergo, anche solo inconsciamente, si punta tutto su questo sperando una svolta significativa nella propria vita. Ma sappiamo bene che il problema si sposterà più in là: non è con un seno più grande che si diventerà più sicuri nelle relazioni con gli altri. Ed infatti dopo questa prima operazione poi ce ne saranno altre che interesseranno nasi, bocche, zigomi, etc. L'accettazione di sé germina non nel proprio seno ma sotto e sopra ad esso, cioè nel cuore e nella testa di ognuno di noi.
Quindi in teoria l'intervento per rifarsi seno, bocche etc. di suo non è immorale, ma può diventarlo per le motivazioni che spingono ad esso.
Questo rimane vero anche per quelle azioni meno intrusive sempre di carattere estetico: i trucchi per le donne, le tinte, i profumi etc. così anche per le attività sportive. Se diventano atti di idolatria di noi stessi anche questi semplici gesti non sono perfetti dal punto di vista morale.
Un ultimo e suggestivo capitolo riguarda l'ipotesi fantascientifica – perché allo stato dell'arte di questo si tratta – di intervento per alterare geneticamente il nostro patrimonio cromosomico. Quando è lecito? Oltre che ovviamente per motivi terapeutici, anche per finalità funzionali ed estetiche di carattere migliorativo. Dal punto di vista funzionale: se per ipotesi si potesse intervenire geneticamente per essere più forti, più resistenti alle influenze, per avere una memoria più estesa ciò sarebbe lecito (così come lo è ora mangiando pesce). Dal punto di vista estetico: se, sempre pensando in modo futuribile, potessimo debellare la calvizie intervenendo sul nostro DNA ciò sarebbe ugualmente lecito. E quando non si tratta di migliorare una funzione o un tratto estetico ma di sostituirne una presente con un'altra equipollente? Non è un problema morale, nel rispetto dei criteri prima elencati, che le donne si tingano i capelli e che da uno scialbo castano ad esempio si passi ad un biondo platino, o che qualcuno si metta lenti a contatto colorate: non c'è un miglioramento oggettivo ma solo soggettivo, dunque semplicemente una sostituzione di un tratto particolare della nostra estetica con un altro ritenuto migliore. Ciò sarebbe ugualmente etico se intervenissimo sul DNA per cambiare ad esempio colore dei capelli o degli occhi? Il criterio del fine preposto è sempre quello scriminante: come prima accennato la complessità dell'intervento di alterazione genetica, i costi, i rischi, la probabile irreversibilità dell'operazione (forse), etc. fanno sospettare che le motivazioni addotte non siano delle migliori. Cioè ci sarebbe una sproporzione immotivata tra mezzi adoperati e fini perseguiti. Non così in genere ed invece in relazione ad una semplice tinta per capelli.
Gli interventi genetici quindi, rispettando queste condizioni, sarebbero leciti, esclusi però quelli di modificazione dei tratti identitari della persona, costitutivi della sua unicità e specificità: mai sarebbe lecito ad esempio intervenire per cambiare sesso da XX a XY e viceversa. Mai per cambiare cancellare la nostra memoria o sostituirla con un'altra creata a tavolino, mai per cambiare radicalmente le fattezze del nostro viso e casi simili. Il Magistero infatti a questo proposito ha indicato che – ed utilizziamo l'argomento per valore analogico – il trapianto di cervello (semmai si riuscirà a compierlo) e di faccia sono illeciti dal punto di vista morale proprio perché aspetti distintivi ed unici di ciascuno di noi.
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