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Un giorno forse d'autunno dell'anno 60 il re Agrippa II, in visita al procuratore Porcio Festo che stava a Cesarea Marittima, si vide presentare un insolito prigioniero.
Paolo di Tarso non aveva rubato, non aveva frodato, non aveva ucciso. Era in carcere solo perché qualche tempo prima aveva provocato un tumulto, discutendo coi giudei sotto i portici del tempio di Gerusalemme. "Avevano con lui alcune questioni - così tentava di spiegarsi quell'alto funzionario di Roma, che evidentemente non aveva troppa familiarità con i problemi teologici degli israeliti - relative alla loro particolare religione e riguardanti un certo Gesù, morto, che Paolo sosteneva essere ancora in vita" (At 25,19).
Gesù - questo sconosciuto ebreo di Nazaret - è vivo o è morto? Agli occhi del procuratore romano era, come si vede, soltanto un problema anagrafico.
In realtà, questo è l'interrogativo che più profondamente spacca oggi ancora l'umanità.
Chi celebra la Pasqua cristiana - se sa per che cosa la celebra - per ciò stesso dichiara di essere convinto che il Crocifisso del Golgota è veramente, realmente, corporalmente vivo. Non c'è divisione più lacerante di questa e più gravida di conseguenze.
Dalla tomba scoperchiata il messaggero celeste - l'angelo biancovestito, di cui ci ha parlato la lettura evangelica - dà anche a noi la notizia sbalorditiva, come l'ha data alle donne quella mattina del 9 aprile dell'anno 30: "Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E' risorto, non è qui" (Mc 16,6).
E' risorto, vale a dire ha ripreso a vivere con tutto il suo essere, anche con le sue membra corporee. Ha ripreso a vivere non tornando indietro - riprendendo la condizione di prima, propria dell'uomo che non ha ancora incontrato la morte - ma andando avanti, entrando cioè nella condizione che dopo l'ultimo giorno sarà anche la nostra, come professiamo nel Credo: "Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà".
La risurrezione di Cristo - che noi proclamiamo in ogni angolo della terra con questa nostra liturgia pasquale - ha, per così dire, una duplice valenza: una duplice valenza, che va riconosciuta, va ben compresa e va rispettata. E' un fatto effettivamente avvenuto, proprio come tutti i fatti di cronaca; ma è anche un evento che trascende la storia e si colloca sul piano delle realtà eterne, come causa inesauribile della salvezza umana. E' perciò al tempo stesso "storica" e "sovrastorica": è perciò oggetto di un assenso razionale e insieme di un atto di fede.
Il sepolcro vuoto (che i soldati e le autorità non possono in alcun modo giustificare); gli incontri col Risorto documentati da innumerevoli testimoni (puntigliosamente elencati da san Paolo in 1 Cor 15,3-8); la stessa inspiegabile trasformazione degli apostoli, che prima sono avviliti, depressi, paurosi, e poi diventano esuberanti di coraggio, di fiducia incrollabile, di generosità fino al martirio: sono tutti dati certi che fondano la nostra convinta adesione e rendono ragionevole il credere.
Del resto, senza la verità della risurrezione del Salvatore crocifisso (principio e modello della nostra ultima sorte) l'intera esistenza umana non riesce a scampare dalla disperazione e dall'assurdità.
Questo è vero prima di tutto per noi cristiani. San Paolo ce lo ricorda con la consueta incisività: "Se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini" (1 Cor 15,17-19).
Ma questo è vero anche per i non credenti: senza la fede pasquale gli uomini si dovrebbero riconoscere fatalmente votati alla morte totale, condannati a non percepire una motivazione che vada oltre il provvisorio e costretti a vivere in un mondo senza una sostanziale e definitiva speranza.
Perciò la missione della Chiesa - e quindi anche la grande responsabilità dei cristiani - è quella di portare la notizia della Pasqua (cioè della risurrezione di Cristo) a tutte le genti.
Nessun'altra notizia è più interessante di questa: è un caso unico nella storia. E' anzi il "cuore" della storia e apre orizzonti inauditi sul nostro presente e sul suo autentico significato, sul nostro futuro e sul futuro dell'universo.
A noi che festeggiamo la Pasqua nella sua verità è richiesto di annunciare con chiarezza e con gioia questa vittoria di Cristo, che è vittoria di tutta la famiglia umana sulla sua "ultima nemica" (come san Paolo chiama la morte: 1 Cor 15,26).
E' il primo e il più grande atto di carità; ed è anche il più necessario per gli uomini del nostro tempo, che per vivere da creature ragionevoli hanno soprattutto bisogno di una speranza che non deluda.
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