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Non ho alcuna autorità per essere qui, se non credo, perché sono una moglie, una mamma di quattro bambini, e ho scritto un libro con cui ho cercato di sedurre le donne per conquistarle alla causa del matrimonio e della dedizione alla famiglia, e per farlo ho cercato un linguaggio nuovo. Per esempio divertendomi ad accentuare un po' la mia frivolezza, che nella realtà non è per me così fondamentale. Credo infatti che, per riconquistare le donne che si sono perse, la partita dobbiamo giocarla prima di tutto sulla bellezza; è per questo che la cosa che mi ha fatto diventare tanto simpatica Gianna Beretta Molla è che lei sfogliava Vogue anche poco tempo prima di morire, per questo mi sono innamorata di lei.
Dobbiamo partire dalle donne perché, mi dispiace, voi uomini dovete combattere per la legge, pregare, discutere, fare opinione, ma sta alle donne accogliere la vita, dire il primo sì, sempre, anche nelle situazioni difficili. Amare anche quando non c'è speranza, anche quando la situazione diventa difficile. Eppure le donne di oggi hanno completamente perso la bussola.
Va di gran moda parlare di violenza sulle donne. Ogni tanto c'è una marcia, un appello in televisione, ne parlano le autorità. Ci sarebbe molto da dire sui dati veri, che non sono quelli sparati disonestamente da certi giornali, ma adesso non è il momento... . È chiaro comunque che è in atto una campagna di delegittimazione dell'uomo: è nei suoi confronti, piuttosto, che io vedo violenza, una violenza ideologica. Mi sembra che gli uomini siano davvero sotto attacco: lo è la loro identità, la loro autorevolezza, il loro ruolo dentro e fuori casa. Questo mi dice la mia esperienza personale.
Quanto alla violenza sulle donne, penso anche a quella che le donne hanno fatto a se stesse con il movimento di cosiddetta liberazione.
Ci siamo prese una fregatura incredibile, e scusate il termine poco accademico, poco consono a questa sede, ma non me ne viene un altro più efficace. Vedo intorno a me tante, tantissime donne che, imbevute dell'ideologia unica, sono andate incontro alla loro sofferenza a braccia aperte. Quelle che hanno abortito ma anche quelle che hanno rifiutato la possibilità di aprirsi alla vita, perché pensavano di poter giudicare loro il momento giusto e la persona giusta, non sapendo che noi non siamo onnipotenti, e neanche in grado di capire da sole quello che è buono per noi, e che il corpo della donna ha dei tempi e dei limiti che non può valicare.
Abbiamo tradito la nostra prima chiamata, che è quella di accogliere e difendere la vita. Ho visto così tante donne fiorire quando finalmente sono diventate madri, diventare felici, risolvere tutte le inquietudini, trasformarsi. Molte di più però sono quelle che continuano a rifiutare questa vocazione, e anche quando diventano madri sono talmente condizionate ideologicamente che si sentono in dovere di parcheggiare i figli, lasciarli, delegarne l'educazione, in nome di una malintesa emancipazione. Quanto a quelle che uccidono il bambino in grembo, be', la loro sofferenza è infinita, e incredibile, accresciuta a dismisura dal fatto che non viene ammessa, riconosciuta, chiamata col suo nome.
Bisogna dunque dire alle donne che ce la possono fare, ad accogliere quella vita, che ce la faranno senz'altro perché sono forti, e perché saranno felici: in un mondo che ha tolto Dio dal suo orizzonte secondo me è questo il tasto su cui battere. Bisogna dire loro che è qui la vera felicità, bellezza, realizzazione: nel non chiudersi alla vita (ci sono anche casi in cui poi una nuova vita non arriva, e le donne possono aprirsi ad altre vite, non generate biologicamente ma sempre bisognose di aiuto).
Invece in cambio del potere di vita, di non vita, attraverso la contraccezione, e di morte sui suoi figli la donna ha guadagnato solo dolore, inquietudine, stanchezza, senso di inadeguatezza, perché nessuna donna, pur essendo noi notoriamente tutte multitasking, è onnipotente (per fortuna) e nessuna donna riesce a stare su tutti i fronti sui quali le è richiesto di essere. Questa violenza le donne se la sono inflitta e se la continuano a infliggere da sole.
Ho conosciuto personalmente tante paladine dell'aborto, di quelle che lo facevano nei primi anni nel salotto di casa, e le ho viste poi guardare con incredibile rimpianto i bambini, senza avere il coraggio di ammettere che quella cosa per cui erano scese in piazza, in politica, le aveva rese incredibilmente infelici per sempre.
Ma la battaglia non si ferma alla questione dell'aborto, che è la primissima irrinunciabile imprescindibile non negoziabile questione. C'è anche bisogno di ricordare che viviamo in una cultura che è contro la vita in ogni suo aspetto, anche nel lavoro: il lavoro manca per gli uomini, e quanto alle donne, quando si parla di conciliazione si parla solo di asili nido, di quote rosa, perché in nome della balla del tempo di qualità, o dell'altra balla, che i bambini di tre mesi socializzano al nido (chi l'ha detta non ha mai visto un bambino di tre mesi neanche in foto), le donne vengono incoraggiate, spinte, spesso costrette a tornare al lavoro col bambino ancora attaccato al seno. Quando si parla di donne e lavoro si parla solo, poi, di incentivi alle industrie che assumono donne, e di quote rosa (io personalmente se mi mettono in qualche cda, evenienza per fortuna estremamente remota, mi suicido). Non si parla mai di rendere i tempi e i modi del lavoro adatti alle madri, di dare loro la possibilità di scegliere se e quanto a lungo stare a casa, per esempio con abbondanti assegni familiari, ricordando che una mamma che segue i suoi figli è un vantaggio per tutta la società.
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