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Eliminate Formigoni! L'ordine è partito da tempo. Micidiale. Come quelli lanciati da Lavrentij Pavlovič Berija, il potentissimo capo della polizia segreta stalinista, un cinico e crudele confezionatore di falsi dossier, esperto nell'arte raffinatissima di rimestare nel fango, utilizzare il braccio armato dei pubblici ministeri e dirigere sapientemente l'informazione giornalistica. Nonostante siano trascorsi più di settant'anni, i metodi, mutatis mutandis, non sembrano essere passati di moda. I mandanti, invece, non appaiono sempre facilmente identificabili, e amano agire nella penombra. Scherani e sicari, al contrario, non hanno paura di mostrarsi pubblicamente e di porre la propria firma sotto il corsivo di un quotidiano che conta.
Quattro sono i buoni motivi per eliminare il Presidente della Regione Lombardia.
1) QUATTRO VOLTE VINCITORE ALLE ELEZIONI
Formigoni per ben quattro volte si è sottoposto al giudizio elettorale del popolo, e per tutte le quattro volte è stato acclamato vincitore con percentuali di consenso inossidabili. Tutto ciò appare inaudito e inconcepibile per chi, come ai tempi di Berija, nutre un profondo disprezzo per il popolo, salvo poi ergersi a suo paladino e tutore. Del resto, lo stesso Berija presiedeva il Commissariato del Popolo per gli Affari Interni (NKVD), l'organismo che vigilava, sorvegliava e difendeva la sicurezza del popolo. Con i metodi ben noti.
2) LA LOMBARDIA E' DIVENTATA MODELLO D'ECCELLENZA
Formigoni guida una Regione che è considerata, anche dai nemici, seppur obtorto collo, un modello d'eccellenza. E' bravo, forse il migliore, e inattaccabile dal punto di vista della gestione amministrativa, brillando, tra l'altro, in uno dei settori più delicati e più importanti per il bene comune, qual è quello della sanità. Per questo è odiato. Evidenzia disfunzioni altrui, costituisce un parametro di valutazione, introduce criteri meritocratici nella pubblica amministrazione, in un ambito, cioè, in cui essi sono stati da sempre banditi per colpa di una cultura di sinistra egualitaria e stracciona. Anche in questo odio i nemici di Formigoni scimmiottano i metodi del loro antico maestro Berija, noto per il disprezzo nei confronti di tutti coloro che riuscivano ad emergere per intelligenza, carattere, cultura. Al momento giusto arrivava sempre un dossier, un pubblico ministero, la Pravda, un processo farsa e, olé, il gioco era fatto. Una vittima illustre fu Grigory Ordzhonikidze,
dirigente che si distinse dagli altri leader del Cremlino, ridotti a grigi burocrati e meri esecutori degli ordini di Stalin, perché intelligente, sincero, con tendenze democratiche, leale verso i compagni e avversario feroce di ogni forma di menzogna l'ipocrisia. E' finito stritolato dagli intrighi e le macchinazioni del NKVD.
3) FORMIGONI PRESIDENTE DEL CONSIGLIO?
Formigoni ha tutti i numeri per assumere un ruolo politico preminente a livello nazionale. E ciò è ritenuto pericolosissimo dai suoi nemici, perché il Presidente della Lombardia sarebbe perfettamente in grado di interpretare e rappresentare quel Volksgeist cattolico, mortalmente inviso alle potentissime lobby del politically correct. Per questo deve fare la fine che Lavrentij Pavlovič Berija destinava a tutti coloro che minacciavano di fare ombra al Capo.
4) SALDO SUI PRINCIPI NON NEGOZIABILI
Formigoni è un cattolico in fasce, anzi un embrione di cattolico, se il parametro dell'essere "adulti" è costituito dal soi-disant cattolicesimo democratico in salsa prodiana dell'onorevole Rosy Bindi. Formigoni è un papista, uno che crede davvero nei ratzingeriani valori non negoziabili, uno che prende sul serio il Magistero della Chiesa Cattolica, uno capace di difendere la vita, la famiglia e la libertà d'educazione, uno che ha ripescato il concetto di sussidiarietà dal vocabolario ottocentesco di Leone XIII, uno che ha attaccato le unioni gay invitando i cattolici del PD ad uscire dal partito, uno che ha pensato di vivere la propria fede in modo integrale e totalizzante al punto di far parte dei memores Domini. Insomma, una bestemmia per quel groviglio di interessi e poteri che va dal mondialismo economico all'europeismo massonico, dal radicalismo chic all'anticlericalismo politicamente corretto, dallo statalismo accentratore all'assistenzialismo paternalista, dalle lobby eugenetiche agli interessati imprenditori della dolce morte, dai potentissimi gruppi omosessuali alle consorterie libertarie anticristiane. Tutti uniti da un unico comune denominatore: l'odio viscerale verso tutto ciò ha il vago sentore di cattolico. Del resto, per tornare al passato, nella sistematica persecuzione della religione come "oppio dei popoli", il nostro Berija si distinse per il particolare accanimento contro «il cattolicesimo romano papista». La lotta contro la Santa Sede divenne oggetto di un vero e proprio piano strategico del NKVD, in cui si evidenziava il «carattere reazionario, antipopolare dei Vescovi romani», bollati come «anticristiani, antidemocratici e antinazionali». Stalin in persona, nel dicembre 1943, chiese a Berija un rapporto dettagliato sulla «situazione delle Chiese cattolico-romane» nel territorio sovietico, stabilendo che di esse avrebbero dovuto occuparsi gli Agenti dei Servizi di sicurezza e il Soviet per gli Affari dei culti religiosi, appositamente costituito nella successiva estate del 1944.
Quello che sta accadendo oggi a Roberto Formigoni non può non interrogare la coscienza di tutti i cattolici italiani.
Sta a loro scegliere. Possono decidere di difendere l'unica esperienza politico-istituzionale del nostro Paese in cui si opera con successo per il bene comune, e si consente uno spazio culturale a quei principi e a quei valori in cui gli stessi cattolici si riconoscono. Oppure, possono decidere di capitolare, consegnando quell'esperienza a chi fino ad oggi ha dimostrato una disastrosa capacità di gestione, ma soprattutto a chi oggi sta attuando a tappe forzate una vera e propria kulturkampf contro quei principi e quei valori in cui gli stessi cattolici si riconoscono. Non c'è molto tempo per reagire, e questo è uno di quei
momenti storici in cui tutti sono chiamati a fare una chiara e netta scelta di campo. Ciò che è in gioco è infinitamente più grande del destino personale e politico di Roberto Formigoni. Chiudo con un'esperienza personale. Nel 2007 mi trovavo a Londra invitato ad un convegno pro-life in cui vi erano persone provenienti da varie parti d'Europa. Con mia somma sorpresa, molti dei presenti cominciarono a chiedermi di Mister Formigoni. Lì per lì non riuscivo a comprendere il motivo della notorietà internazionale del Presidente della Lombardia in quel contesto, fino a quando qualcuno cominciò ad esternarmi la sua piena ammirazione nei confronti di un governatore che era riuscito a far approvare un regolamento per dare sepoltura e funerale ai corpi straziati dei bimbi abortiti. Per loro una tale idea era fantapolitica. Continuavano a ripetermi: «How lucky you are to have such nice politicians», come siete fortunati ad avere simili politici in Italia. Simon Calvert del Christian Institute mi confessò che da loro, in Gran Bretagna, uno come Formigoni non avrebbe potuto sopravvivere politicamente più di un quarto d'ora. Da noi ha resistito per quasi vent'anni, e ora vorrebbero farlo uscire di scena, senza la fisiologia del voto democratico, ma semplicemente con un golpe mediatico-giudiziario a suon di dossier appositamente confezionati, nel miglior stile di Lavrentij Pavlovič Berija.
Non consentiamoglielo. Anche perché i cristiani d'Europa ci guardano, e non meritano di essere delusi.
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