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Quando a Taranto è venuto alla ribalta il problema dell'Ilva c'è stata una prima fase di profondo scoramento per tutti, a cominciare dai suoi 200.000 abitanti che vedono nel più grande stabilimento siderurgico d'Europa un catalizzatore, un polo di aggregazione delle poche ed asfittiche attività industriali che alimentano la fragile economia della "città dei due mari". Sembrava che le esigenze della produzione a costi competitivi fossero antitetiche ed inconciliabili con quelle della salvaguardia della salute pubblica e dell'ambiente circostante.
Sulla base di notizie circa dati epidemiologici al di sopra degli standard nazionali, però mai provati su basi scientificamente attendibili, la procura di Taranto, nell'incertezza, decise di vederci chiaro nella questione e nel frattempo di imporre un ultimatum ai vertici dell'azienda dei Riva: risanate e bonificate, altrimenti si chiude. A questo punto, come sempre accade in questi casi, tutti dall'opinione pubblica, ai media, alle istituzioni, ai sindacati, si sono divisi in due partiti "l'un contro l'altro armato": quello della difesa ad oltranza dei posti di lavoro e delle ragioni per la sopravvivenza dell'acciaieria, e quello della difesa della salute dei cittadini e del rispetto dell'ambiente. Fortunatamente, esiste un terzo partito che, inizialmente inascoltato, è progressivamente venuto fuori, tessendo pazientemente la tela della ragione alla ricerca di una soluzione al problema che fosse soddisfacente per tutti, cioè che permettesse di salvare la capra dei posti di lavoro ed i cavoli della tutela ambientalistico-sanitaria. Tra l'altro, c'è un aspetto che era stato inizialmente sottovalutato, ovvero quello dell'importanza strategica delle acciaierie Ilva non solo per i tarantini, ma per l'intero Paese. Chiudere Taranto significa chiudere a seguire con effetto domino tutti gli altri centri siderurgici italiani che da Taranto dipendono, nonché mettere fuori mercato tutta l'industria manifatturiera nazionale che fa dell'acciaio l'elemento base della propria produzione, dalla Fiat alla cantieristica navale, dalle rubinetterie alle macchine utensili, settori questi ultimi in cui l'Italia è indiscusso leader mondiale, e proprio per questo bersaglio di una agguerritissima concorrenza sui mercati internazionali, che farebbe carte false perché quell'acciaieria chiudesse. L'ordinanza dei pm di Taranto per l'Ilva conteneva un requisito in pratica impossibile da rispettare, perché chiedeva che le attività di risanamento degli altoforni e di bonifica dell'area avvenisse ad "impianti spenti", una pratica unanimemente ritenuta impraticabile dai tecnologi della siderurgia mondiale, ed infatti mai attuata da nessuno in nessuna parte del globo. Se un altoforno viene spento, è per sempre, perché costerebbe meno farne uno nuovo che riaccendere quello vecchio, ma occorrerebbero anni e nel frattempo si perderebbero mercato e competitività. Allora si è venuta prospettando una soluzione efficace, capace di permettere la definitiva bonifica dell'area, con la riduzione delle emissioni a livelli di assoluta innocuità per gli abitanti di Taranto e che garantisce la piena tutela dell'ambiente.
Questa soluzione tecnologicamente sofisticata prevede che gli interventi di risanamento avvengano ad impianti accesi, ma secondo un regime programmato di rotazione in base al quale quelli in manutenzione vengono tenuti al minimo della loro capacità produttiva. Una soluzione, questa, costosa, ma che vanta così tanti meriti da non chiedere altro che di essere adottata: risolve alla radice e definitivamente il problema dell'inquinamento, migliorando anche le condizioni ambientali e la sicurezza di quelli che dentro all'llva ci lavorano; non interrompe la produzione; garantisce la sopravvivenza e la competitività del centro siderurgico con benefici effetti sull'intero sistema produttivo e sull'economia del Paese, salva in particolare i 20.000 posti di lavoro diretti e dell'indotto, senza i quali rischia di collassare l'intera economia di Taranto, con forti ed inevitabili ripercussioni in tutta la Puglia ed il Mezzogiorno; non impatta sulla collettività perché non richiede il ricorso agli ammortizzatori sociali, in quanto le risorse per la bonifica sarebbero ricavate da opportune turnazioni degli operai già in organico senza necessità di cassa integrazione per gli stessi. Sembrerebbe quindi tutto chiaro e tutto fatto, ed invece no. E' di ieri la doccia fredda con la quale la gip Todisco ha respinto il piano di intervento predisposto dall'azienda con investimenti per 400 mln di euro.
Le ragioni addotte dal magistrato rendono incomprensibile ed ingiustificabile la sua decisione, apparentemente frutto più di un atteggiamento prevenuto che di logica razionalità. Con quale esperienza del settore la Todisco può affermare "che l'azienda sta giocando al ribasso con gli stanziamenti ed il tipo di interventi" quando l'Ilva ha quasi triplicato lo stanziamento iniziale di 160 mln di euro ed ha fatto predisporre da veri e propri esperti mondiali del settore impiantistico-siderurgico un piano preciso e definito in ogni suo dettaglio tecnologico, operativo, temporale e finanziario? E' chiaro che qualcuno sta facendo il duro, mostra i muscoli giocando sulla pelle e sulla vita di lavoratori e cittadini per dimostrare la propria forza e rassicurare chi di dovere sulle capacità di tenuta della magistratura sul fronte dell'antagonismo sociale e dell'oltranzismo ambientalista, anche per coprire le precise colpe di chi per otto anni, per dare un colpo al cerchio del populismo demagogico e clientelare, nonché uno alla botte dell'oltranzismo ambientalista, ha permesso che i problemi si accumulassero sino a far esplodere il caso-Taranto.
Adesso il ministro Clini si sta adoperando per far assegnare all'Ilva una nuova e dettagliatissima in ogni suo aspetto AIA, l'autorizzazione ambientale integrata, che recepisca tutti i requisiti posti dalle ordinanze del Gip, tranne, ovvio, quello dello spegnimento degli impianti che, se accolto, porterebbe alla loro definitiva chiusura. Vedremo quindi fino a che punto vorranno spingersi con l'Ilva di Taranto questi magistrati arroganti, schierati e guidati non già dalla ragione, ma da odio ideologico, che adesso si scoprono persino esperti e luminari delle più avanzate tecnologie siderurgiche, oltreché medici, epidemiologi, provetti economisti ed ambientalisti di provata fama mondiale.
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