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Caro Feltri,
ci siamo già confrontati una volta sul tema del sovraffollamento carcerario, un tema che a te sta molto a cuore e che hai condiviso, l'anno scorso, con Pannella. Del tuo articolo sul «Giornale» che commentava la vittoria di Matteo Renzi alle primarie del Pd e che metteva in guardia dal nuovo-che-avanza condivido tutto, naturalmente, e – anzi - rispetto al nuovo leader del Pd sono molto più pessimista di te.
Epperò quando dici che il Paese non ha i soldi per costruire nuove carceri e, dunque, l'unica via è quella dell'ennesima amnistia-indulto, seguito a non essere d'accordo. Infatti, l'Italia non ha affatto bisogno di costruire nuove patrie galere, essendoci ben una quarantina di penitenziari nuovi di zecca, talvolta già arredati, che non vengono utilizzati (so che non hai dimestichezza col computer, ma puoi chiedere a qualcuno dei redattori di digitare su Google «carceri italiane inutilizzate»). Perché? Boh.
Altra cosa che tu dici inapplicabile: il rimpatrio dei detenuti stranieri affinché vadano a scontare nei loro Paesi. L'Italia ha sottoscritto nel 1983 la Convenzione di Strasburgo che prevede questa misura e, negli anni seguenti, ha stipulato patti bilaterali con moltissimi Paesi. Anzi, con quasi tutto il mondo. Come si può leggere su «Il Fatto Quotidiano» del 28 ottobre u.s. in un dettagliatissimo articolo, il nostro governo spende un miliardo di euro all'anno per mantenere i detenuti stranieri che costituiscono un terzo del totale e che, se rimpatriati, da soli risolverebbero il problema del sovraffollamento. Il rimpatrio costerebbe poco più di mezzo miliardo, con un risparmio notevolissimo che potrebbe essere utilizzato a favore della popolazione carceraria rimasta.
Al di là delle lagne dei buonisti professionali (tra i quali includo anche non pochi cattolici, clero compreso), l'esclaustrazione tramite amnistie e indulti ha già più volte mostrato i suoi limiti. Credimi se ti dico che non sono affatto un cattivista che vuol tenere la gente in galera, anche perché un uso oculato del cosiddetto carcere preventivo sarebbe già di per sé un principio di soluzione. Ma, come ha dimostrato Alessandra Nucci su «Italia Oggi» un paio di anni fa, dal 1962 l'Italia ha varato ben sedici atti di clemenza, tra amnistie e indulti. L'ultimo, nel 2006, fece scendere i detenuti da 60.710 a 33.847. Solo tre anni dopo erano già 64.791, ossia il 6,72% più di prima.
Non si creda, poi, che si tratti di un problema solo italiano. Per la civilissima California, patria e madre del politicamente corretto e dei diritti oves et boves, la Corte Suprema dovette intervenire perché aveva 154mila detenuti stretti in un sistema penitenziario calcolato per soli 80mila. Lo stesso avvenne negli anni Novanta con Philadelphia. Messi fuori quelli meno a rischio di recidiva, nel giro di un anno e mezzo erano di nuovo tutti dentro per omicidi, stupri, rapine eccetera.
Io vivo, come te, a Milano, dove non temo tanto i grandi evasori (contro i quali la magistratura disloca, giustamente, gran parte delle sue forze e che potrebbero essere puniti non col carcere ma nel portafogli, che a loro fa più male) bensì il piccolo delinquente che carica di mazzate la vecchietta per strapparle la collanina e rivendersela in qualche compro-oro. A mandare in giro liberi questi pensa già qualche giudice di manica larga (ti basta sfogliare la cronaca milanese del «Giornale», perciò non perdo tempo a fare esempi). Insomma, i sistemi per rendere più umane le nostre carceri ci sono, senza per questo oltraggiare ulteriormente la giustizia (cosa ormai ben diversa dalla stretta legalità). E, attenzione, se amnistie e indulti servissero davvero a qualcosa sarei perfettamente d'accordo con te. Ma i decreti svuota-carceri fanno solo aumentare, non diminuire, i reati (settecento denunce al giorno, ripeto al giorno, nella sola Milano). E, dopo due o tre anni, siamo punto e a capo. So che, come l'altra volta, non sarai d'accordo con me. Tuttavia, ti prego di riconsiderare attentamente i punti, di cui sopra, riguardanti i rimpatri e l'attivazione delle carceri inutilizzate. Con affetto e immutata stima.
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