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Ci sono volute più di due ore e mezza per rendere pubblico un comunicato stringato a commento dell'udienza concessa dal Papa a Barack Obama. Poco più di dieci righe in cui si parla per prima cosa di "cordiali colloqui" che hanno "permesso uno scambio di vedute su alcuni temi attinenti all'attualità internazionale, auspicando per le aree di conflitto il rispetto del diritto umanitario e del diritto internazionale e una soluzione negoziale tra le parti coinvolte".
Il terreno, qui, era già stato preparato lo scorso 14 gennaio, nell'incontro di un'ora e quaranta minuti tra il segretario di stato vaticano, Pietro Parolin e la sua controparte americana, John Kerry. Ma riguardo al comunicato diffuso ieri sono altri due gli aspetti che balzano all'occhio. Innanzitutto, la sottolineatura del fatto che nel vis-à-vis – prima di condividere "il comune impegno nello sradicamento della tratta degli esseri umani nel mondo" – ci si è "soffermati su questioni di speciale rilevanza per la Chiesa nel Paese, come l'esercizio dei diritti alla libertà religiosa, alla vita e all'obiezione di coscienza nonché il tema della riforma migratoria".
E' il segnale che l'incontro tra il Pontefice e il presidente degli Stati Uniti ha toccato anche i temi più controversi e delicati nelle relazioni tra stato federale ed episcopato locale e, di riflesso, tra stato federale e Santa Sede. L'accenno alla "libertà religiosa" richiama alla mente la durissima lettera che il neo presidente della Conferenza episcopale americana, mons. Joseph Kurtz, aveva inviato a Obama lo scorso dicembre. In quel testo, il successore del cardinale Timothy Dolan – a dispetto del profilo da moderato e flessibile che gli era stato attribuito – lamentava come l'obbligo di sottoscrivere le assicurazioni sanitarie anche per le comunità cattoliche fosse lesiva della libertà religiosa. Il punto controverso, infatti, riguardava il fatto che l'assicurazione comprendesse anche la copertura delle pratiche contraccettive e l'aborto. In gioco, diceva mons. Kurtz, c'è il principio costituzionale "First freedom".
Durante la conferenza stampa congiunta con il presidente del consiglio Matteo Renzi, Obama ha detto che di Obamacare s'è parlato, non con il Papa, bensì con il segretario di stato Parolin: "Con lui abbiamo discusso della questione per fare in modo che la libertà di coscienza e di religione venga rispettata nel contesto della legge", aggiungendo altresì di aver "promesso di continuare un dialogo con vescovi e cardinali per trovare un giusto equilibrio".
Risulta però difficile pensare che nei cinquantadue minuti di udienza a porte chiuse nella Biblioteca del Palazzo apostolico, Obama e il Papa non abbiano mai toccato l'argomento. Proprio mons. Kurtz, in un'intervista pubblicata ieri mattina su Avvenire, aveva segnalato nell'Obamacare e nell'immigrazione i due temi portanti dell'incontro in Vaticano: "Vorrei certamente vedere dei cambiamenti nel modo in cui la riforma è applicata, in particolare per quanto riguarda l'obbligo di fornire farmaci o metodi di contraccezione e aborto imposto alle organizzazioni cattoliche. I vescovi statunitensi – diceva ancora mons. Kurtz – da quasi cent'anni sostengono con forza la necessità di offrire agli americani una sanità universale che sia davvero alla portata di tutti, ma non lo possiamo fare al prezzo di violare la nostra coscienza e i nostri princìpi religiosi". Una linea che il Papa pare aver dunque sottoscritto.
L'altro aspetto sorprendente è che manca qualunque accenno al tema della giustizia sociale che tanto stava a cuore all'inquilino della Casa Bianca, al punto da farne l'asse portante della lunga intervista concessa a Massimo Gaggi per il Corriere della Sera. Sorprendente anche perché questo era considerato il terreno sul quale i due interlocutori più facilmente avrebbero potuto trovare un punto d'intesa. Non a caso, domenica scorsa ampio spazio al tema era stato dato dal New York Times – il principale quotidiano liberal della East Coast –, con un articolo sulle radici cattoliche dell'attivismo obamiano nella Chicago pastoralmente guidata dall'arcivescovo progressista Joseph Bernardin.
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