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Il dibattito in corso sui temi di bioetica necessita una riflessione profonda che vada al di là delle contingenze politiche e storico-sociali. I temi dell’aborto, della fecondazione assistita e del testamento biologico sono stati affrontati dal filosofo e bioeticista Mario Palmaro, nel corso di una conferenza tenuta lo scorso 7 ottobre presso la Fondazione Lepanto.
Docente di filosofia del diritto all’Università Europea di Roma, Palmaro ha esordito ricordando che il principale handicap dell’intera discussione sul tema (fuori e dentro le aule parlamentari) risiede nella mancanza di una «visione d’insieme della realtà» laddove l’opinione pubblica lascia trapelare esclusivamente i metri di giudizio delle singole categorie, dal politico al magistrato, dal medico all’operatore della comunicazione.
In quest’ottica le cosiddette tematiche “eticamente sensibili” non sono altro che la punta più avanzata di un medesimo processo rivoluzionario, che in passato ha avuto connotati per lo più politico-sociali (rivoluzione francese, rivoluzione d’ottobre, ecc.) ma che oggi agisce essenzialmente sul versante antropologico, aggredendo il concetto stesso di uomo. «Si vuole negare – ha affermato il professor Palmaro – che la natura umana abbia un’essenza immutabile nel tempo. Secondo questa concezione l’uomo è ridotto ad un mero dato biologico. La contraddizione di ciò è che tale filosofia va a braccetto con l’ideologia ambientalista secondo la quale siamo tenuti a rispettare la natura, mangiare biologico, ecc., mentre l’essere umano, al contrario, può essere oggetto di manipolazioni, sperimentazioni e selezioni biologiche».
La rivoluzione antropologica in oggetto opera innanzitutto su un piano culturale, pertanto «i mezzi di comunicazione, l’editoria, le accademie contribuiscono a condizionare la mentalità comune e il costume, producendo uno sganciamento dalla concezione classica della natura dell’uomo. Il passaggio successivo consiste nel travaso di tali “idee nuove” nel territorio della norma giuridica, la quale è un prodotto della mentalità corrente ed è a sua volta in grado di plasmare la stessa mentalità. Ne è un esempio l’istituzione del divorzio in Italia, favorita dall’insorgere di una cultura divorzista che la legge non ha fatto altro che rafforzare e consolidare tra le masse», ha osservato Palmaro. «Oggi, tuttavia, specie dopo la caduta delle ideologie, è soprattutto la bioetica (aborto, RU486, fecondazione artificiale, eutanasia, testamento biologico) a segnare l’elemento distintivo delle forze politiche che, su tutti gli altri temi, tendono ad assomigliarsi sempre di più», ha osservato lo studioso.
Il concetto di testamento biologico, in particolare, al di là dei sofistici distinguo rispetto alle cosiddette “dichiarazioni anticipate di trattamento” (DAT), viene di fatto utilizzato come cavallo di troia per l’introduzione surrettizia dell’eutanasia, senza utilizzarne il nomen iuris.
«Il colpo di genio risiede proprio nel legalizzare l’eutanasia dichiarando al mondo intero la propria contrarietà alla stessa», ha sottolineato Palmaro. Il vero nodo critico, ad avviso del filosofo e bioeticista, è però rappresentato dall’ambiguità di una buona parte del mondo cattolico che si manifesta in tre atteggiamenti: 1) la tendenza a difendere, o quantomeno a non criticare, leggi palesemente ingiuste (vedi legge 194) in quanto ci si è rassegnati a considerarle assorbite dalla mentalità comune, quindi impossibili da demolire nell’impianto; 2) la difesa tetragona di leggi imperfette (vedi legge 40) le quali, pur contenendo elementi di ingiustizia, rappresenterebbero un “male minore”, pertanto criticandole si presterebbe il fianco ai sostenitori di leggi più permissive; 3) l’attitudine ad optare per leggi (è sempre il caso della legge 40) secondo un criterio “proporzionalistico”, ovvero mettendo sul piatto della bilancia il bene e il male che possono produrre. Tutti gli atteggiamenti mentali sopra elencati hanno portato ad aberrazioni quali la presunzione di poter statuire normative su temi eticamente sensibili sulla base del «più ampio consenso parlamentare possibile», oppure criticare l’introduzione della pillola RU486 in ragione di una sua possibile incompatibilità con la legge 194.
Quale via d’uscita, allora, quale antidoto rispetto a tale deriva nichilista, in cui anche la cultura cattolica rischia di essere assorbita? «Dobbiamo tornare alla recta ratio – ha dichiarato il professor Palmaro – ovvero alla legge naturale, la quale è conoscibile e immutabile. È bene, inoltre, evitare la trappola del clericalismo in cui cadde, tra gli altri, Giuseppe Lazzati, secondo il quale non era sensato imporre l’illiceità del divorzio a persone non cattoliche. Vanno poi, soprattutto, riscoperti i principi del catechismo della Chiesa Cattolica, autentico deposito della Verità, la quale non dipende affatto dalla nostra capacità di presentarla, in quanto è iscritta in se stessa».
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