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Gérald Darmanin, oggi segretario generale aggiunto e deputato dell'Ump, è stato il portavoce di Nicolas Sarkozy. Non è quindi un esponente della Sinistra spinta, pregiudizialmente atea e "deicida". Eppure, in certi casi non pare davvero distaccarsene troppo... Il giornalista Bruce Toussaint gli ha recentemente chiesto, nel corso di un'intervista trasmessa da «iTélé», se oggi, a suo parere, vi sia un problema con l'islam in Francia. Al che lui ha dichiarato apertamente che no, in realtà «c'è un problema con tutte le religioni nella Repubblica». Repubblica divenuta così una sorta di moloch supremo, talmente ideologizzato da considerare ormai come un fastidioso nemico qualsiasi credo, di qualunque natura ed origine sia. Ma anche da rinnegare chi, come il Cattolicesimo, abbia innervato, irrorato dei propri Valori e forgiato per secoli il Paese, appartenendo alla sua Storia e segnandone in modo significativo anche il presente. Non c'è Francia senza Chiesa: ma questo a Darmanin evidentemente non garba, al punto da spingerlo a fare il possibile per... "cancellare le tracce".
L'ISLAM NON CI STA
C'è chi a questa impostazione non ci sta. Come l'islam. Che risponde da par suo. Presentando, proprio in Francia, il suo primo partito in corsa già per le prossime elezioni dipartimentali di marzo. Si chiama Udmf ovvero "Unione dei democratici musulmani di Francia": non è una novità assoluta, sebbene pochi sino ad oggi ne conoscessero l'esistenza. È stato fondato nel novembre 2012, ha 900 iscritti e 8 mila simpatizzanti. A guidarlo è Najib Azergui - 36 anni, francese di origine marocchina, dirigente della SNCF, sposato e padre di famiglia - ed afferma di volersi ispirare all'esempio dato dal partito cristiano-democratico dell'ex-ministro Christine Boutin.
Ha diversi punti in programma: promuovere la finanza islamica, ritenendola un'alternativa «etica» a quella tradizionale; sponsorizzare i prodotti alimentari halal, conformi alla sharia, «per creare posti di lavoro» (sic); concedere il diritto di voto anche agli stranieri in occasione delle elezioni amministrative; nelle scuole, cancellare il divieto d'indossare il velo come segno di «tolleranza delle religioni»; introdurre tra le lingue insegnate l'arabo - ritenuto «ingiustamente bandito» - ed aggiungere colonizzazione e guerra d'Algeria ai programmi scolastici ministeriali, accusati di voler «passare sotto silenzio» gli scheletri nell'armadio della Storia francese; in una parola, lottare contro chiunque intenda respingere l'islam, pur rifiutando con forza l'etichetta di «partito confessionale».
RICHIESTE MODERATE? TUTT'ALTRO!
Possono sembrare, a chi non sia particolarmente avveduto in materia, richieste tutto sommato moderate, in ogni caso discutibili. In realtà, rappresentano una sorta di grimaldello, per scardinare le fondamenta culturali, politiche, sociali, storiche e spirituali del Paese. Non dimentichiamo come già nel 2007 il gesuita arabo Padre Samir Khalil Samir, su AsiaNews scrivesse: «Nel dare spazio alla finanza islamica, non si può dimenticare che essa fa parte di un progetto di islamizzazione dell'Europa e del mondo. Il pragmatismo economico, etico, senza principi, sta uccidendo l'Occidente». Non dimentichiamo neppure come uno dei fondatori delle banche islamiche sia Sayyed Qutb, ideologo dei Fratelli Musulmani, legati a filo doppio al terrorismo jihadista. Quanto ai cibi halal, secondo il Whc-World halal Council, «l'halal non è solo una norma tecnica che gli europei possono regolare e formulare come vogliono. I musulmani hanno la responsabilità di Allah e Allah ha già istituito tutte le norme e i regolamenti necessari in modo chiaro». Quindi, «ci può essere solo uno standard halal, che abbraccerà la comunità islamica in tutto il mondo e questo standard può essere gestito solo dai musulmani. Musulmani e non-musulmani devono capire che il Nuovo Ordine Mondiale sorgerà solo con l'Halal e il Tayyib!». Sono considerazioni come queste a sollevare più di un dubbio sull'innocenza di programmi quali quello presentato dall'Udmf.
Altri tentativi analoghi, in passato, sono tutti falliti. Spetta agli elettori, ora, decidere se archiviare o meno anche questa nuova sigla.
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