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Il Presidente della regione Piemonte Mercedes Bresso si prepara a seguire l’esempio dell’Emilia Romagna in merito alla somministrazione della pillola abortiva Ru486, che avverrà in regime di day hospital. La denuncia è di Chiara Mantovani, membro del Consiglio Direttivo Nazionale di Scienza & Vita, in un articolo pubblicato su “Il Foglio”.
Secondo la Mantovani tale soluzione non solo è incompatibile con la Legge 194, ma incentiva la pratica dell’aborto fai-da-te trasformandolo in una faccenda privata, e costringe le donne «a monitorare da sole l’espulsione del prodotto del concepimento, cioè del bambino che è ucciso con l’aborto, ad assumere antidolorifici di auto-somministrazione e a giudicare se le perdite ematiche hanno carattere di emorragia oppure sono nella norma».
Nell’articolo la Mantovani denuncia inoltre l’intenzione generale di delegare alle donne tutto il problema aborto e dunque di deresponsabilizzare la società intera ed in primis i chirurghi che praticano gli aborti. Non abbiamo bisogno di scaricabarili, afferma la Mantovani, ma di una cultura della vita.
Sebbene l’esponente di Scienza & Vita abbia il merito di denunciare la deriva antivita in atto, non sembra cogliere le contraddizioni insite nel ragionamento. In effetti, la pratica del day hospital per la somministrazione della Ru486 è la soluzione inevitabile alla scellerata decisione di commercializzare il prodotto, conseguenza di un dibattito politico privo di seri argomenti pro vita. Il ricovero coatto della donna in ospedale non solo non è consentito dalla legge (se non in casi eccezionali) ma prevede costi esorbitanti insostenibili a carico delle strutture pubbliche, come ammette la stessa Mantovani.
Desta inoltre non poca preoccupazione vedere esposti i soliti “buoni motivi” per dire “no” all’aborto facile da parte di esponenti di importanti organismi che dovrebbero difendere la vita innocente con radicalità e coerenza. Il problema della privatizzazione dell’aborto non è di adesso; la Legge 194 prevede l’assoluta ed indiscussa “proprietà” della vita del bambino da parte della madre, al punto che neppure il padre può in alcun modo influire nella decisione. Il medico che rilascia il certificato ed il chirurgo che pratica l’aborto sono dei semplici esecutori di una sentenza di morte già scritta nelle pieghe delle norme dell’ipocrita ed omicida Legge 194.
L’obiettivo principale non può essere quello di preservare la donna dal trauma psichico o fisico ma, al contrario, di scuotere le innumerevoli coscienze anestetizzate da oltre trent’anni di legalizzazione dell’aborto.
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