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E' stato accertato che molti terroristi all'origine delle recenti stragi in Francia e in Germania non hanno collegamenti strutturali con l'ISIS. I profili degli stragisti indicano persone disadattate e socialmente marginali. Questo ha fatto tirare ai più un sospiro di sollievo. Se i personaggi all'origine di quelle tragedie fossero cellule dell'ISIS significherebbe la presenza di una rete tentacolare organizzata che può mettere in scacco un intero Paese o addirittura l'Europa.
Se ci fosse una mente centrale e tanti terminali periferici perfettamente collegati - così si pensa - ci sarebbe veramente da avere paura. Poiché così non è, ma si tratta di cani sciolti, disperati, emarginati, clinicamente problematici o borderline non c'è poi molto da temere. Sono fatti isolati che prima o dopo termineranno e su cui le forze dell'ordine possono avere la meglio. Non si tratta di un esercito, né si tratta di una guerra, ma di una guerriglia urbana attuata da individui isolati.
Purtroppo, invece, le cose non stanno così. Non sono al corrente della rete di collegamenti dell'ISIS in Europa e se esiste non sono in grado di valutarne l'entità e la pericolosità. Anche solo considerando il numero dei volontari europei che si sono recati e si recano in Siria a combattere nelle file dell'ISIS e che qui sono tornati dopo aver combattuto, c'è da pensare che una fitta rete ci sia. In ogni caso c'è una cosa da osservare: abbia o non abbia l'ISIS dei soldati arruolati e dislocati clandestinamente in Europa, il fatto di usufruire dell'aiuto di cani sciolti senza collare, di giovani esaltati e fanatici, di persone disadattate in cerca di un demente riscatto personale, non è casuale e semmai accresce la paura anziché diminuirla.
L'ISIS può contare non solo sui militanti che ne fanno regolarmente parte, ma anche su sostenitori disposti addirittura a morire senza che l'ISIS glielo abbia chiesto. Di fatto, i vari attentatori di questi giorni in Francia e in Germania, hanno aderito spontaneamente all'ISIS, senza fare domanda di iscrizione, senza chiedere di essere arruolati, senza pretendere nulla.
Hanno immolato vittime e si sono immolati per la causa, che nella mente loro chissà quale era, ma che di fatto diventa quella dell'ISIS. Ogni esercito belligerante vorrebbe degli aiuti del genere e poter contare non solo sui propri infiltrati nel Paese nemico ma sulla collaborazione sino allo stremo di cittadini di quel Paese. Che questi attentatori fanatici non siano collegabili direttamente all'ISIS è un segno di forza dell'ISIS e di debolezza per noi. La rosa dei possibili soggetti pericolosi si allarga a dismisura. I servizi seguono i percorsi dei combattenti in Siria rientrati poi in patria e li controllano. Controllano chi ha o può avere collegamenti con l'ISIS. Ma questi neoconvertiti missionari del terrore per motivi che solo la loro mente disturbata conosce non sono controllabili. Eppure combattono anche essi per il nemico.
E' qui che si incontrano concretamente le conseguenze della disgregazione della società europea. I sociologi la chiamano anomia, mancanza di norme, di legge, di ordine, di principi, di valori. La nostra società ne è piena e in questi contesti crescono i nuovi volontari dell'ISIS, i disadattati che l'ISIS nemmeno sa che esistano ma che combattono per esso, anche senza divisa.
Quando si denuncia la crisi dell'Europa e della sua identità, lo scollamento delle relazioni e dei significati, l'ampliamento dell'anomia derivante dall'esplosione degli entitlements, il vuoto di senso dovuto all'ampliamento delle chances di vita, come diceva Ralf Dahrendorf, molti pensano che si stia facendo astratta retorica. Poi un ragazzo di 17 anni combatte a colpi di machete su un treno, un altro entra in una chiesa cattolica e sgozza il parroco di 86 anni, un altro ancora dirotta un tir sui passanti e allora si capisce che non era astratta retorica. Nel vuoto dell'Europa l'ISIS recluta non solo i foreign fighters, ma anche le truppe ausiliarie, che per la cronaca invece sono solo "dementi".
Nota di BastaBugie: Andrea Zambrano nell'articolo sottostante dal titolo "La profezia di Aiuto alla Chiesa: accadrà anche a voi" parla del duro comunicato di Aiuto alla Chiesa che soffre: «Esattamente come in Medio Oriente, alla distruzione dei luoghi di culto seguono crimini violenti». A Ruen, nella città dove Giovanna D'Arco mostrò la potenza di Dio nella storia, ci è chiesto di essere pronti al destino come padre Jaques.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 26 luglio 2016:
Finiremo come nel Medio Oriente? Finiremo perseguitati nella nostra stessa terra? La domanda aleggiava fino a poche ore fa, sospesa tra lo spauracchio e l'inguaribile ottimismo dato dagli echi lontani di certe immagini: croci spezzate, altari rovesciati, preti sgozzati al grido di Allah Akbar. Oggi quello spauracchio si fa realtà, terribile realtà proveniente dalle coste che 70 anni fa furono teatro di uno sbarco liberatorio dal totalitarismo nazista e oggi ci portano l'orrore in casa.
Nel cuore dell'Europa, nella stessa città dove la pulzella d'Orleans venne arsa al rogo dimostrando tenacemente la potenza di Dio nella storia, oggi un nuovo martire dopo secoli ritorna a versare il suo sangue nell'immenso mare del mistero di iniquità. Padre Jacques non aveva forse l'indomito coraggio di Giovanna d'Arco, ma anche in lui la fede salda lo ha fatto trovare pronto nel momento più elevato della vita cristiana, la messa, dove la terra e il cielo si uniscono in un unico sacrificio di grazia.
Ucciso durante la messa, nessun martirio è più chiaro perfetto di questo e la storia oggi ritorna per svegliarci ancora una volta, su quello che sta accadendo e sul perché sta accadendo. Nel racconto drammatico che sta emergendo dall'unica suora sopravvissuta il sacerdote è stato fatto inginocchiare mentre i tagliagole affondavano il coltello e recitavano un sermone arabo.
Ma nel birignao odierno di commenti e di cordogli, troppo flebile si sta alzando da parte dei politici il grido di aiuto e speranza che papi come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI urlavano in faccia al potere: "Europa, ritrova te stessa".
A comprendere che quello di ieri è uno scatto in avanti dell'odio anticristiano che si fa porta a porta non sono gli analisti e i loro portavoce impegnati a chiarire che chi ha sgozzato un prete è un malato di mente, come se in circolazione ci fossero anche tagliagole sani e irreprensibili. Ma è chi la violenza dell'Islam politico e militare la conosce perché la subisce da anni, mettendoci in guarda, cercando di far arrivare la sua voce che dall'altra parte del Mediterraneo è partita troppe volte arrivando sulle coste occidentali distrattamente inascoltata.
«Un chiaro attacco alla libertà religiosa ed un chiaro esempio di odio anticristiano». Non ha dubbi e non la chiama come un attacco di un malato di mente Alessandro Monteduro, direttore della sezione italiana di Aiuto alla Chiesa che Soffre. L'Istituzione di diritto pontificio che tocca con mano ogni ora le condizioni dei cristiani perseguitati nel mondo certe immagini è abituata a vederle. Perché ce le ha mostrate in Nigeria, in Sudan, in Iraq e in Siria e ovunque un cristiano è messo a morte per la sua fede. E forse meglio di chiunque altro è in grado di reagire all'attacco di ieri nella Chiesa di Saint-Etienne-du Rouvray.
"Esattamente come in Medio Oriente", dice oggi Acs e questa frase di terrorizza perché ci pone per la prima volta di fronte ad un finale che avevamo immaginato lontano da noi. "Oggi si è verificata una vera e propria barbarie, ma non possiamo indignarci soltanto in drammatiche occasioni", ha continuato Monteduro ricordando come già negli ultimi anni sempre più chiese e simboli cristiani siano stati attaccati, distrutti e profanati in Francia. «Esattamente come in Medio Oriente, alla distruzione dei luoghi di culto seguono crimini violenti ai danni dei sacerdoti e dei fedeli».
E ancora: "La persecuzione dei cristiani, come abbiamo visto oggi, non è lontana da casa nostra. Iniziamo a ribellarci, in primis la comunità internazionale, contrastando la decristianizzazione che da tempo dilaga in Europa. È anche la mancata difesa della nostra fede a renderci maggiormente vulnerabili».
Parole di chi sa come si chiama il nemico. Le stesse di un altro profondo conoscitore dell'islamismo, come padre Samir Khalil Samir, che su Asia News ha ribadito quanto va dicendo da tempo: "Purtroppo l'islam fa fatica a integrarsi perché ha una cultura in molti punti opposta a quella attuale dell'occidente. Dal punto di vista religioso, sociale, dei rapporti uomo-donna, in rapporto al mangiare... è un sistema completo. Che la religione sia diversa, questo non è un problema. Ma il fatto è che nell'islam la religione è legata a un sistema politico, sociale, culturale, storico, di costume, che influenza tutto: il vestire, il dar la mano a uno o all'altra, le relazioni sociali. Sono così tante cose che rendono difficile assimilare le idee dell'occidente".
E l'influsso radicale islamista rende ancora più difficile questa integrazione. "Si deve anche avere il coraggio di dire anche che l'islam ha elementi di violenza nel Corano e nella vita di Maometto. Se invece si continua a dire che l'islam è una religione di pace, creiamo solo confusione e mistificazione".
Sappiamo che la morte è stata vinta, ma non sappiamo quando questo scontro terribile terminerà e come ci vedrà vittoriosi. Padre Jaques l'ha indicato al mondo che stamattina l'ha conosciuto per la prima volta. Noi, i padri Jaques, che pregano e offrono sacrifici nel silenzio delle chiese assediate dal frastuono, assieme a quell'ormai piccolo popolo di giusti per riguardo ai quali non verrà distrutta Sodoma, li conosciamo ancora. E ci stanno indicando la strada per trovarci pronti all'appuntamento con il nostro destino.
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