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Accanto alla medicina nella sua funzione tradizionale di cura delle patologie, sta sorgendo una “medicina dei desideri”, la cui conseguenza finale è l’eugenetica. Il tema è stato trattato durante la tavola rotonda L’uomo: prodotto perfetto, tenutasi ieri pomeriggio a Family Fiuggi Festival.
La degenerazione dell’uomo da creatura vivente a “prodotto” è stata sottolineata nell’introduzione dalla presidente del Family Fiuggi Festival, Antonella Bevere Astrei: “Si pensa di poter fare dell’uomo ciò che si vuole e si arriva a paradossi come la ‘sessualità sterile’ o la ‘sterilità feconda’. E se l’uomo, come prodotto, viene male, posso permettermi di rifiutarlo...”.
È seguita la testimonianza dei coniugi Giovanni e Anna Rimoldi, due insegnanti di Busto Arsizio. I signori Rimoldi hanno perso l’unica figlia, Maria Gabriella, nata dopo quindici anni di matrimonio e vissuta soltanto cento giorni.
“L’impatto con un figlio che non nasce ‘perfetto’ e con la sua malattia è straziante per i suoi genitori – ha dichiarato la signora Rimoldi -. Se non si è sorretti da saldi principi morali si scivola nel mito dell’uomo perfetto: fecondazione artificiale, diagnosi prenatale, aborto eugenetico, sono espressioni concrete di questa mentalità”.
Giovanni e Anna Rimoldi hanno però accettato la venuta al mondo della loro figlia, pur affetta da trisomia 18 e destinata a morire dopo poche settimane. “Abbiamo di fronte due culture alternative: quella dello stupore di fronte alla vita e quella del disincanto totale – ha proseguito la signora Rimoldi -. Un figlio è un diritto o un dono? Io e mio marito abbiamo accolto la nostra bambina come un dono”.
“Ad una prima fase di sconforto – ha aggiunto Anna Rimoldi – è seguita per noi quella dell’affidarsi al Signore e, infine, dell’accettazione di quanto ci era successo. Dopo quindici anni di matrimonio sterile, le nostre aspettative erano diverse: non potevamo certo aspettarci che Dio si riprendesse così presto nostra figlia”.
“Maria Gabriella nacque un 22 dicembre – ha proseguito – ma per noi più che un Natale è stato ricevere la Croce. A lungo abbiamo implorato il Signore e abbiamo pregato Santa Gianna Beretta Molla per un miracolo, poi abbiamo compreso che i piani di Dio non erano i nostri, con la certezza di incontrare e rivedere nostra figlia in Cielo”.
La disquisizione teorica è stata introdotta dal professor Lucio Romano, presidente nazionale di Scienza e Vita. “Dobbiamo innanzitutto recuperare il senso della parola 'uomo' che non è riducibile a mero fatto biologico – ha affermato Romano -. L’uomo è un essere vivente che si connota per caratteristiche biologiche, fisiologiche, psicologiche e spirituali da nessuna delle quali si può prescindere. Allo stesso modo la fecondazione non è il mero incontro tra due cellule”.
La concezione antropologica moderna è viziata da due concezioni principali. La prima è quella liberal-libertaria secondo la quale l’uomo “è un soggetto libero e autonomo ma solo nella dimensione dell’io, mentre il tu e il noi non sono contemplati L’embrione, l’anziano, il malato, il disabile, in quanto soggetti non autonomi non possono decidere per sé”.
“Il benessere fisico diventa l’unico parametro di dignità – ha osservato il professor Romano – con il risultato che prevale la legge del più forte”.
L’altra corrente di pensiero prevalente è quella utilitaristica la quale “valutando costi e benefici, tiene conto soltanto dell’impatto sociale dell’handicap. Disabile è stato tuttavia anche un grande pianista jazz come Michel Petrucciani (1962-1999) che per le sue caratteristiche fisiche, probabilmente sarebbe stato già eliminato nel grembo materno secondo questo tipo di mentalità”.
Il professor Giuseppe Noia , specialista in medicina prenatale presso il Policlinico Gemelli di Roma e cofondatore della onlus “La Quercia Millenaria”, ha seguito molte gravidanze difficili e ha fatto nascere numerosi bambini portatori di handicap. “L’uomo non è un prodotto ma una creazione meravigliosa - ha esordito Noia – e, già da embrione, è un protagonista della propria vita e di quella di sua madre”.
Eppure l’embrione, che è un essere umano a tutti gli effetti, “si ritrova solo ed indifeso a combattere una cultura che gli è ostile: è abbandonato dalla legge, dalla politica, dalla cultura, finanche dai suoi genitori. Quindi, se c’è un punto su cui noi uomini di cultura dobbiamo impegnarci è quello della testimonianza per la vita”.
“Nessuna madre che è andata incontro ad aborto spontaneo vi dirà mai: ‘ho perso un embrione di 12 millimetri ma ‘ho perso il mio bambino’. Il dolore può essere proporzionale soltanto alla perdita di una presenza”, ha aggiunto il professor Noia.
“Come profetizzò G.K. Chesterton (1874-1936), ci ritroviamo oggi a difendere l’incredibile sensatezza della vita umana”, ha poi concluso Noia.
La figura di Chesterton, uno dei primi avversari dichiarati dell’eugenetica, è stata tratteggiata dallo scrittore ed editore Fabio Trevisan, vicepresidente della casa editrice Fede e Cultura ed autore di alcuni saggi sul grande scrittore cattolico inglese.
“Chesterton non era scienziato – ha esordito Trevisan – ma la sua grande intuizione, il suo gusto per l’umorismo paradossale, lo portò a criticare in modo lungimirante i nascenti pericoli dell’eugenismo. È stato un precursore del dialogo tra fede e ragione: usava la razionalità ma contrastava il razionalismo”.
“Attraverso il personaggio di padre Brown, il sacerdote detective, Chesterton rivalutò il linguaggio delle parabole evangeliche – ha proseguito Trevisan -. Partendo da una realtà già nota, arrivava a scoprire una realtà nuova, ulteriore e sorprendente”.
“Seguendo questo metodo, Chesterton denunciò, con largo anticipo sui tempi, i rischi di una scienza disumanizzante. Comprese che il linguaggio dell’eugenetica si nascondeva dietro parole magniloquenti che nascondevano la realtà, anziché rivelarla”.
“L’ideologia eugenistica, in definitiva, è una delle tante conseguenze negative del pensiero di chi vuole ignorare la realtà, pur conoscendola. In tal senso è illuminante uno dei tanti aforismi paradossali, ideati da Chesterton: ‘Tutte le strade portano a Roma, proprio per questo molti non ci sono andati...”.
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