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A conoscenza di chi scrive, in Occidente è rimasto un solo vero, serio e solido comunista. Si chiama Carlo R. ed è uno che si commuove pensando ai bei tempi di Baffone, piange al suono dell’Internazionale, non vede l’ora di morire per farsi avvolgere nella bandiera rossa con falce e martello e assomiglia a Pino Rauti. Carlo R., che abita nel Levante genovese e recita a memoria brani della Messa in latino e interi capitoli del Don Camillo, quando lo si interpella sulla caduta del muro di Berlino ha un tuffo al cuore e, con enfasi non priva di dolore, proclama: «Per me non è caduto un cacchio». In realtà, Carlo R. non si esprime in linguaggio così urbano, ma in una gustosa parlata ligure che tradurre sarebbe come profanare. Chi ha pratica di mondo può immaginarla.
Questo capitolo non tratta di lui, che, come Peppone, vive nel sogno di un socialismo profumato dalla redenzione del proletariato. Tratta di coloro che respirano avidamente il fetore nauseabondo dell’idea comunista in putrefazione.
Qui non si parla di un vivo che teme di morire, ma di moribondi convinti di essere in buona salute.
Carlo R. non è un comunista terminale. Lui non ha esultato quando, nel novembre 2008, l’ex deputato di Rifondazione comunista Guadagno Wladimiro, meglio conosciuto come Vladimir Luxuria, ha trionfato all’Isola dei Famosi battendo in finale Belen Rodriguez. Non sapeva che la vittoria in un reality show di un omosessuale che si è pompato il seno, rifatto il naso, depilato permanentemente e autodefinito transgender è una vittoria del proletariato.
Carlo R. è rimasto indietro di due o tre aggiornamenti della rivoluzione. Tanto che, fin dal 2006, all’epoca della candidatura di Guadagno Wladimiro nelle file del suo partito, aveva commentato il fatto con espressioni così colorite e così politicamente scorrette da finire sotto accusa per deviazionismo fascio-clerico-leghista. Nuovo tipo di deviazionismo che, in seguito agli aggiornamenti della rivoluzione, ha sostituito quello borghese, in base al quale oggi anche i cosiddetti probi viri del partito finirebbero diritti sul banco degli imputati.
Contrariamente a Carlo R., il comunista terminale vede nella causa del transgender Luxuria la nuova frontiera della rivoluzione e, da questo punto di vista, ha perfettamente ragione. Ha capito che la rivoluzione procede di negazione della distinzione in negazione della distinzione. Il comunista terminale ha compreso che il processo rivoluzionario parte dalla negazione delle diversità dovute alla vita sociale, alla cultura, ai costumi, alle tradizioni per arrivare fino alla presunzione di cancellare la diversità più evidente decretata dalla natura: quella tra maschio e femmina. La proclamazione dell’equivalenza tra uomo e donna è l’esercizio massimo e ultimo dell’ideologia rivoluzionaria, oltre il quale c’è solo la negazione della distinzione tra uomo e Dio. Ma, si sa, per il rivoluzionario Dio non esiste, altrimenti non sarebbe rivoluzionario.
Il comunista terminale vive beato in un mondo infettato dall’ideologia egualitaria in cui esiste una sola eccezione: lui stesso. Lui, secondo la migliore applicazione della prassi leninista, appartiene all’avanguardia che ha il dovere e il diritto di tracciare la strada lungo la quale poi procederà il popolo bue: uguale, ma non del tutto. Le cattedre non gli mancano, perché ha smesso da tempo di fare l’operaio e si è dato alle professioni intellettuali. Insegna nella scuola pubblica e privata, lavora nelle case editrici, ha colonizzato i giornali, fa televisione, non di rado si esibisce dai pulpiti.
Semina, coltiva, raccoglie. Poi, quando è il momento, proclama la vittoria, come ha fatto «Liberazione» con il trionfo di Luxuria sull’Isola dei Famosi.
«Un duello epico» ha scritto il quotidiano comunista.
«Vladimir contro Belen, la trans contro la donna vera. Il risultato, strepitosamente, spariglia le carte. […] Il momento più brutto è stato quando si sono trovate l’una davanti all’altra.
Belen, la donna bella, secondo il pregiudizio l’unica donna vera, contro Vladimir la pasionaria, la donna che ha scelto di essere donna. Due donne, due storie, due modelli, due culture. Lì siamo rimasti col fiato sospeso, abbiamo temuto che Vladimir non ce la facesse.»
Ma poi Vladimir ce l’ha fatta. E allora gli italiani, che quando votano alle elezioni sono dei poveri imbecilli perché fanno vincere Berlusconi, quando invece tele votano all’Isola dei Famosi diventano dei raffinati intellettuali perché fanno vincere il compagno transgender Guadagno Wladimiro. Non fa niente se la televisione, fino al giorno prima, è stata considerata spazzatura per minorati mentali: il giorno dopo diventa uno strumento della rivoluzione, una corazzata Potëmkin che spara sui cattivi soldati zaristi del terzo millennio.
Come aveva scritto Karl Marx: «La storia si ripete sempre due volte: la prima volta in tragedia e la seconda in farsa». E qui, come si può immaginare, la tragedia è passata da un pezzo. Ma non fa nulla, perché il comunista terminale, con grande sprezzo del ridicolo, vive dei miasmi esalati dalla tragedia in avanzato stato di decomposizione.
Aiutata da pietosa e farsesca eutanasia, munita del conforto dei suoi cinici cari è morta una fase della rivoluzione e, dal suo stesso cadavere, ne nasce un’altra. Si volta pagina.
Così, aiutato anche dal fatto che il cashmere logora chi non ce l’ha e che il toscano adesso si fuma nei salotti, il comunista terminale ha sterzato decisamente sul versante “radical”. Visto che “chic” lo era già, come resistere alla tentazione di mettere insieme le due cose? E infatti non ha resistito.
Al diavolo le volgari rivendicazioni salariali, al diavolo le nuove povertà e al diavolo anche le vecchie. È arrivato il momento di radicaleggiare. Chi meglio del compagno terminale Fausto Bertinotti, nonostante ora sia stato messo un po’ in ombra dalle batoste elettorali, incarna il prototipo del cattivo maestrino dalla penna rossa esperto di rivoluzione permanente? Durante l’ultimo governo Prodi, Bertinotti era presidente della Camera, terza carica dello stato, e da quell’autorevole scranno nel 2007 spiegò che serviva «una grande battaglia politica e culturale in Parlamento e nel paese sui Dico e sui diritti civili. Come ai tempi del divorzio».
Qui bisogna aprire una parentesi perché il suo successore alla terza carica dello stato, onorevole Gianfranco Fini, pur appartenendo al fronte politico opposto, sostiene gli stessi argomenti. Sarà la presidenza della Camera che produce effetti indesiderati. Ma di questo ci occuperemo nell’apposita sezione.
Ora chiudiamo la parentesi perché il compagno terminale Bertinotti sostenne che la battaglia culturale e politica sui Dico sarebbe stata possibile solo mettendo insieme «sinistra radicale e riformista, laici e liberali». E, sino a qui, l’onorevole Fini non è ancora arrivato.
Non sfuggirà che il fondatore di un partito chiamato Rifondazione comunista, riferendosi al suo schieramento, non parlò di “comunisti” ma di sinistra radicale. Tale terminologia spiega un fenomeno del quale bisogna prendere atto: quel che resta del vecchio Pci, nei diversi tronconi che vanno da Fassino a Bertinotti, Diliberto, Luxuria e Nichi Vendola, si è trasformato in una sorta di partito radicale di massa: più agguerrito, più numeroso e persino, se mai fosse possibile, più cinico del plotoncino pannelliano.
Detto questo, non stupisce se il povero Carlo R. si è trovato alle corde, accusato di deviazionismo fascio-clerico-leghista quando ha espresso il proprio parere sulla candidatura di Guadagno Wladimiro nelle file del partito che avrebbe dovuto rifondare il comunismo. Il povero Carlo R. è rimasto al Pci che faceva il Pci. Al partito che, come ricordava Massimo Caprara che ne fu il braccio destro, ebbe in Palmiro Togliatti un deciso avversario dell’aborto. Al partito che, con l’inserimento della norma sui corpi sociali nella Costituzione, non pensava certo di dare il via libera al matrimonio degli omosessuali. Al partito che espulse per indegnità morale Pier Paolo Pasolini a causa della sua omosessualità.
Con ciò, non si vuole rimpiangere Togliatti e il suo Pci.
Ma solo mettere in guardia i gonzi che pensano di poter trattare impunemente con gli eredi di quella storia e di quei metodi. La piazza evocata dal comunista terminale non è altro che un immenso Hotel Lux, l’albergo al civico 10 di via Gorkij a Mosca in cui ai tempi del Komintern dimoravano gli alti funzionari del partito e i capi dei partiti comunisti stranieri. Ruth Fischer von Mayenburg lo ricorda così: «Qui si discuteva, si cospirava e a volte si taceva in preda a un’angoscia di morte. Qui c’erano lacrime, sogni, tragedie».
La von Mayenburg fu tra i fortunati che riuscirono a sopravvivere alle purghe staliniane degli anni Trenta. Allora tentò persino di giustificare quella carneficina di compagni traditori in nome dei grandi ideali e del grande fine ultimo della rivoluzione. Se avesse immaginato che i suoi sogni sarebbero naufragati sull’Isola dei Famosi con Vladimir Luxuria al comando di Simona Ventura, avrebbe certamente seguito l’insegnamento marxista completando il suo pensiero all’incirca così: «Qui c’erano lacrime, sogni, tragedie che un giorno diventeranno farse».
In effetti, la deriva dei cattivi maestri della sinistra ton sur ton fa pensare a Marx: ma non a Karl, a Groucho.
Eppure non c’è niente da ridere.
IDENTIKIT
• Dove opera
Parlamento (quando riesce a farsi eleggere), cattedre, scrivanie, strapuntini, reality show, non di rado i pulpiti. Disdegna le piazze, così rozze.
• Come riconoscerlo
Cashmere, pantaloni con le pence, scarpe su misura, cravatta all’uncinetto: se parla di operai, è un industriale; se si lamenta perché Cortina è sovraffollata, è lui.
• Come difendersi
Avvicinatevi con una pagnotta, un etto di mortadella e un bottiglione di Manduria. Dategli del tu e offrite con generosità. Se per caso accetta, allora dovete anche prenderlo in braccio come fece Benigni con Berlinguer. Ma non ce ne sarà bisogno, fuggirà prima. Voi non siete Benigni.
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