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La Corea del Sud ha ammesso alle Olimpiadi invernali di PyeongChang molti atleti nordcoreani nonostante non fossero riusciti a qualificarsi nelle rispettive discipline. È stata sicuramente una dimostrazione di buona volontà nell'ottica di un riavvicinamento tra i due paesi dopo mesi di tensione altissima nella Penisola per le intemperanze nucleari del dittatore Kim Jong-un. Nonostante questo, potrebbe non aver fatto un favore agli atleti del Nord, visti i pessimi risultati che hanno ottenuto e visto quello che è successo ai loro predecessori una volta tornati in patria da perdenti.
La squadra mista femminile di hockey sul ghiaccio si è rivelata un disastro perdendo 8-0 con la Svizzera, 8-0 con la Svezia, 4-1 con il Giappone e ancora 2-0 con la Svizzera. Chi ha gareggiato individualmente, però, non ha fatto meglio. Choe Un Song, pattinatore di velocità su ghiaccio, ha registrato il peggior risultato nella gara dei 1.500 metri; Ri Yong Gum, sciatrice di fondo, è arrivata 89esima su 90 nella dieci chilometri; Han Chun Gyong e Park Il Chol si sono aggiudicati le posizioni 101 e 107 su 116 nel tabellone del fondo maschile. Gli unici due atleti regolarmente qualificati per meriti sportivi, i pattinatori artistici Ryom Tae Ok e Kim Ju Sik, hanno terminato in 13esima posizione su 16. Gli altri hanno fatto anche peggio di loro, arrivando ultimi nelle rispettive competizioni.
GULAG E LAVORI FORZATI
Gli atleti che in passato hanno raggiunto risultati così magri non sono stati trattati bene, per usare un eufemismo, al loro ritorno in patria. Il caso più eclatante è quello della nazionale di calcio nordcoreana, che pure nel 1966 ottenne un risultato storico accedendo ai quarti di finale dei Mondiali, battendo proprio l'Italia per 1-0 in una partita memorabile e arrendendosi solo ai portoghesi, che vinsero 5-3. Al loro ritorno a Pyongyang il "Presidente eterno" Kim Il-sung spedì tutta la squadra in uno dei peggiori gulag del paese, il campo 15 di Yodok, riservato ai prigionieri politici. Qui incontrarono il futuro disertore Kang Chol-Hwan, che nel suo libro Gli acquari di Pyongyang descrisse la fama che si guadagnò il calciatore Pak Seung-Zin, in grado di «resistere a qualsiasi tortura». Un altro membro della squadra veniva soprannominato lo "scarafaggio", per la sua abilità nel catturare e mangiare ogni tipo di insetto nel tentativo disperato di non morire di fame.
Chi non ottiene vittorie scintillanti, dando così «gloria alla madrepatria e al leader», viene punito e rinchiuso per mesi in campi di lavoro forzato, ha testimoniato il disertore Kim Hyeong-Soo, scappato dal paese nel 2009. È il caso del promettente judoka Lee Chang-soo, che dopo essere stato ricoperto di onori in patria per la vittoria ai Mondiali di Judo nel 1989, ebbe la sfortuna di perdere in finale ai Giochi asiatici del 1990 di Pechino contro un sudcoreano. Al ritorno a Pyongyang, il padre della patria Kim Il-sung non ebbe pietà e gli fece pagare l'affronto condannandolo ai lavori forzati in una miniera di carbone.
TUTTO MERITO DEL DITTATORE
Non sono gli unici casi conosciuti di atleti puniti. Nel 2010, ai Mondiali in Sudafrica, tutto il mondo elogiò la nazionale nordcoreana per aver perso solo 2-1 nella sua prima gara contro il Brasile. Allora l'allenatore diede tutto il merito della fantastica prestazione al "Caro leader" Kim Jong-il, figlio di Kim Il-sung, che aveva guidato la squadra «attraverso uno speciale telefono senza fili, invisibile a occhio nudo, di sua invenzione». Purtroppo nella sfida seguente la Corea del Nord perse 7-0 contro il Portogallo, la televisione di Stato che trasmetteva la partita interruppe bruscamente la visione del match. Al ritorno in patria, la squadra subì una sessione di critica pubblica di sei ore al Palazzo della Cultura del popolo da parte del ministro dello Sport Pak Myong-Chol. I giocatori sono stati costretti a denunciare il «tradimento» dell'allenatore Kim Jong-Hun, colpevole di non aver seguito le indicazioni del leader nelle partite successive al Brasile. Per questo fu inviato ai lavori forzati.
Un trattamento simile è stato riservato anche a Hyo Sim-Choe, regina del sollevamento pesi destinata a vincere la medaglia d'oro alle Olimpiadi di Rio 2016, ma che ottenne "solo" l'argento. Davanti a questi esempi, non c'è da stupirsi se alcuni campioni nordcoreani, vincitori di importanti medaglie, hanno sempre ringraziato le persone giuste per le loro vittorie: «Ce l'ho fatta solo perché Kim Jong-il mi ha guardato da lassù», disse ai giornalisti nel 2012 Om Yun-Chol dopo aver vinto la medaglia d'oro nel sollevamento pesi, riferendosi al leader appena deceduto. «Gli altri atleti erano nervosi, io no, perché sapevo che lui vegliava su di me. Sono felice che lui mi abbia dato la forza necessaria per sollevare quei pesi, è come se avesse guidato le mie azioni, fino a farmi fare il record del mondo. È tutto merito suo». Allo stesso modo An Kum-ae, judoka vincitore della medaglia d'oro, diede tutto il merito a Kim Jong-un: «Ho dato gioia e felicità al nostro leader».
Seul ha compiuto un gesto importante invitando i nordcoreani alle Olimpiadi di PyeongChang e permettendo loro di gareggiare anche se non si erano qualificati per meriti sportivi. Forse però, per garantire la loro incolumità, avrebbe dovuto anche farli vincere. Nel 2015 il partito nordcoreano ha pubblicato un documento dal titolo: "Inauguriamo una nuova età dell'oro costruendo una potenza sportiva nello spirito rivoluzionario del monte Paektu", perché «solo gli sportivi possono far sventolare alta nel cielo la bandiera della nostra Repubblica in tempo di pace». Kim Jong-un tiene molto alle competizioni sportive, ma in Corea del Sud gli atleti del Nord hanno fallito: speriamo che il regime non faccia ancora parlare di sé per il trattamento che riserverà loro.
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