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L'esito del referendum irlandese sull'aborto è una tragica sconfitta per l'Irlanda che comincerà a uccidere sistematicamente i propri figli. L'approvazione di una legislazione abortista uccide una nazione e un popolo, perché lo fa andare contro-natura nel punto più delicato e importante, gli fa negare l'accoglienza nel momento sorgivo e più decisivo, lo educa a pensare che ciò che è legale sia anche buono, abituandolo a non distinguere più tra carnefice e vittima. Il riconoscimento legale dell'aborto è per un popolo una morte spirituale che lo priva della sua coscienza, lo obbliga a vivere perennemente col rimorso senza chiamarlo tale, lo lacera in quanto c'è di più originariamente sacro e mette nelle mani dei cittadini l'indisponibile. Quando l'indisponibile diventa disponibile tutto è perduto.
La sconfitta della vita, del buon senso, della naturale umanità, della maternità e della paternità che è seguita al referendum irlandese conferma tre punti di grande rilevanza per la lettura della storia dei nostri tempi.
1) I VALORI NATURALI (VITA, FAMIGLIA) SENZA LA RELIGIONE SI PERDONO
Il primo è che la secolarizzazione religiosa porta con sé sempre anche la secolarizzazione etica. L'Irlanda, forse ultima in Europa, ha subito negli ultimi decenni un forte processo irreligioso che le ha fatto raggiungere velocemente il deserto già raggiunto da tempo da altri Paesi europei. Si è trattato di un processo devastante e violento che ha sradicato da quel popolo il suo legame naturale e storico con la fede cattolica. I fautori della laicità direbbero che ciò non rappresenta di per sé un pericolo, perché la società può comunque coltivare e difendere valori naturali legati alla vita e alla famiglia anche senza il sostegno della religione. Ma questo non è vero, e proprio il referendum irlandese è lì a dimostrarlo.
Il piano della ragione naturale, che in linea di diritto dovrebbe essere in grado di riconoscere il valore assoluto della vita anche senza fare riferimento alla rivelazione cristiana, in realtà non ci riesce senza essere sostenuto in ciò dalla fede cattolica. Dio ha voluto che anche la legge naturale fosse oggetto di rivelazione e ha posto la Chiesa a sua tutela. Se la rivelazione e la Chiesa sono estromesse dalla scena pubblica, la legge naturale viene perduta.
2) NELLA MODERNITÀ C'È QUALCOSA DI INQUINATO ED INQUINANTE
Il secondo è che quando un popolo si modernizza è inevitabile che succeda quanto ho descritto nel primo punto, ossia che venga escluso Dio dalla vita pubblica e, di seguito, anche i più naturali tra i valori vengano dissolti. Non mi sembra che esistano esempi storici che contraddicano questa constatazione. Ciò significa che nella modernità c'è qualcosa di essenzialmente inquinato ed inquinante.
Intendo qui per modernità non un'epoca cronologica ma una categoria culturale, che sostituisce la natura con la storia, la verità con la libertà, l'intelligenza con la volontà, la volontà con la prassi, i doveri con i diritti, i diritti con i desideri, la realtà con la coscienza, la conoscenza con l'interpretazione. L'ingresso nella modernità intesa in questo senso comporta sempre dei danni spirituali e una decomposizione del quadro di senso che nelle epoche precedenti era coeso e solido. Nel modo di pensare proprio della modernità come categoria mentale ci sono degli errori fondamentali le cui influenze fanno trattenute e combattute, in caso contrario l'esito confermato anche in Irlanda è inevitabile.
3) ACCETTANDO LA MODERNITÀ LA CHIESA NE ACCETTA LA DOTTRINA
Il terzo è il pericolo che l'ingresso di un popolo nella modernizzazione alla lunga spinga la Chiesa stessa ad entrarvi, pensando, nel caso contrario, di non poter incontrare pastoralmente l'uomo contemporaneo. Solo che, nell'illusione di incontrare l'uomo contemporaneo collocandosi essa stessa nel suo orizzonte di modernità, essa finisce per accettare la modernità come categoria mentale e morale. La modernità in senso cronologico (incontrare l'uomo contemporaneo) viene confusa con la modernità in senso culturale e morale (con tutti i suoi errori). La Chiesa perde così la trascendenza rispetto al proprio tempo e finisce per assimilarne le categorie mondane e perfino il linguaggio. Essa termina di combattere, perché non vede più il proprio tempo dal punto di vista dell'eternità e quanto muta dal punto di vista di quanto non muta.
Accettando la modernità per motivi pastorali, la Chiesa finisce per accettarne la dottrina. Nel caso del referendum irlandese la Chiesa ha brillato per afasia ed assenza. Nessuna mobilitazione di popolo, nessun intervento da Roma, nessun aiuto da parte degli episcopati europei, eppure si trattava dell'ultimo Paese del nostro continente ad avere finora resistito contro la morte di Stato. É sotto gli occhi di tutti, del resto, che la Chiesa ha da tempo cessato di combattere per la vita e di mobilitare sistematicamente le coscienze contro l'aborto. Ciò significa che le categorie intellettuali della modernità sono penetrate a fondo anche dentro di essa e l'hanno resa mondanamente innocua.
Nota di BastaBugie: Stefano Fontana nell'articolo sottostante dal titolo "I nuovi princìpi dei vescovi a cui non ci adegueremo" mette in luce i "nuovi" principi non negoziabili secondo il presidente della Cei: costituzione, lavoro, democrazia. La lotta dentro la Chiesa ai principi non negoziabili assume strane forme. Ma si dimentica il principio di Dio da cui tutto trae origine. Non possiamo conformarci a questi nuovi principi non negoziabili. Restiamo saldi sui veri principi non negoziabili: vita, famiglia, libertà di educazione.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 26 maggio 2018:
Nella conferenza stampa conclusiva dell'Assemblea generale dei vescovi italiani che si è tenuta a Roma nei giorni scorsi, il Presidente della CEI, cardinale Gualtiero Bassetti, ha fatto alcune affermazioni che meritano qualche considerazione per capire dove i vescovi vogliano guidarci. Egli, rispondendo ad una domanda dei giornalisti, ha elencato i suoi: "[...] principi irrinunciabili: la centralità della persona, il lavoro come mezzo fondante della personalità umana; l'attuazione sul piano concreto della Costituzione; la scelta chiara per la democrazia e per l'Europa". Ci si chiede perché mai ci sarebbe bisogno della Chiesa e dei cattolici se si trattasse di perseguire questi obiettivi e perché mai per un cattolico essi sarebbero irrinunciabili. La Dottrina sociale della Chiesa non l'ha mai detto.
L'espressione centralità della persona è insufficiente e, detta così, deviante. La Chiesa, quando parla della persona, non dovrebbe mai parlarne in senso personalistico, ma come realtà che trae la propria dignità dalla dimensione trascendente, ossia da Dio. La Chiesa annuncia la "trascendente dignità della persona". Ne consegue che la persona non è al centro, al centro c'è Dio, anche nella vita pubblica. Ormai si è talmente abituati a ritenere che la persona sia "principio, soggetto e fine della società" da ritenere che ci salverà l'antropologia e che bisogna "ricominciare dalla persona", mentre se non si ricomincia da Dio - "primum quaerere Deum" - anche la persona viene perduta.
Il lavoro non è un "elemento fondante la personalità umana". Questo elemento fondante è l'essere l'uomo stato creato a immagine di Dio. Il che getta certamente anche una nuova luce sul lavoro umano come su tutte le altre sue attività, il lavoro diventa un compito e anche un diritto ma solo perché è un dovere che, come tutti i doveri, sono originati dal fine ultimo, che è Dio. Se è il lavoro a fondare la dignità umana, allora si cade nel sociologismo.
Che poi tra i principi irrinunciabili ci sia anche la democrazia, così senza aggettivi, non è accettabile. La democrazia è uno strumento e non un fine. Come ha insegnato Giovanni Paolo II nella Evangelium vitae e nella Centesimus annus - veri e propri manuali di una democrazia autentica - la democrazia sta o cade con i valori che incarna, non è mai da accettare in quanto tale ma per i contenuti morali che riesce a soddisfare, sicché una democrazia senza valori si converte sempre in una forma di totalitarismo, palese o subdolo che sia. La democrazia relativista e procedurale, la democrazia dell'assolutezza dell'alzata di mano, è da rifiutare non da perseguire.
Infine è assolutamente inaccettabile che tra i principi irrinunciabili per un cattolico ci sia la realizzazione concreta della Costituzione. La Carta diverrebbe, se intesa in questo senso, il testo fondamentale di una nuova religione civile. La nostra Carta costituzionale non è la migliore del mondo ed anche nei suoi confronti vale il principio che bisogna obbedire a Dio prima che agli uomini. Ma anche se lo fosse, sarebbe nient'altro che una carta costituzionale, non il Vangelo.
Infine non è chiaro perché mai i cattolici dovrebbero essere "europeisti" per natura. Il progetto europeista è malato, era malato fin dalle origini, e alla Chiesa hanno sempre interessato anche i popoli, che di fronte al nuovo Moloch stanno soccombendo. Questa Europa non merita nessuna investitura da parte dei vescovi italiani.
Il cardinale ha qualificato questi suoi nuovi principi come "irrinunciabili". Su di essi, quindi, il cattolico non può transigere. C'è da pensare che questi principi o sostituiscano o si aggiungano ai principi "non negoziabili" elencati da Benedetto XVI. Ma i due elenchi non sono assimilabili e nemmeno accostabili tra loro. I principi non negoziabili - vita, famiglia, libertà di educazione - si fondavano sull'ordine del creato e, quindi, sul Creatore. Questi nuovi principi "irrinunciabili" su cosa si fondano?
La lotta dentro la Chiesa ai principi non negoziabili assume così strane forme. Se ne nega esplicitamente la validità, oppure non se ne parla più perché cadano nel dimenticatoio, oppure se ne coniano di nuovi in modo da diluirne la pregnanza. La cosa è contraddittoria: da un lato si dice che non ci sono e dall'altro se ne indicano addirittura di nuovi.
Il cardinale Bassetti, parlando del nuovo governo che sta per nascere, ha detto che i vescovi italiani saranno coscienza critica nei suoi confronti: "Tutto quello che è buono lo apprezzeremo, ma su tutto quello che è contro la famiglia, la persona, i migranti, noi saremo voce critica". Ecco un altro colpo alla dottrina dei principi non negoziabili. Ciò che è contro la famiglia non è da porsi sullo stesso piano di ciò che è contro i migranti. Lo Stato può limitare o impedire gli ingressi nel proprio Paese ma non può fare leggi contro il matrimonio e la famiglia naturale. Anche Papa Francesco nell'esortazione Gaudete ed Exsultate ha fatto la stessa equiparazione, che però elimina il concetto di atti intrinsecamente cattivi (quale è appunto un atto lesivo della famiglia naturale e come non è invece una politica che regoli le migrazioni), oppure lo estende ad atti che non lo sono, il che è un altro modo per diluirlo e superarlo.
L'Assemblea generale della CEI di cui stiamo parlando è avvenuta a cavallo della data del 22 maggio 2018, ossia durante il giorno preciso della approvazione, quaranta anni fa, della legge 194 sull'aborto in Italia. Ma dal cardinale Bassetti e dai vescovi in assemblea non è arrivato nessun messaggio forte sul tema della lotta per il diritto a poter nascere una volta concepiti, sono arrivati invece i messaggi "forti" sulla democrazia, sulla Costituzione e sull'Europa. Personalmente, a questi "nuovi principi non negoziabili" non mi adeguerò.
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