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CINA, GLI ORRORI DELLA POLITICA DEL FIGLIO UNICO
di Matteo Zuccari

 Un libro denuncia il lato più terribile della pianificazione in atto dagli anni ’70, dagli aborti forzati ai bimbi gettati via
 La “politica del figlio unico” in vigore dalla fine degli anni ’70 come uno dei lati oscuri della Cina.
  Un libro ne svela i lati più sconcertanti: «Strage di innocenti. La politica del figlio unico in Cina», scritto da Harry Wu e curato da Toni Brandi e Francesca Romana Poleggi, è stato pubblicato il 23 luglio scorso dell’Editrice Angelo Guerini.
  Harry Wu, oggi direttore esecutivo della Laogai Research Foundation, è sopravvissuto all’esperienza dei “Laogai”, i lager cinesi, in tutto simili a quelli nazisti. I metodi con cui il regime di Pechino persegue il controllo delle nascite non sono meno violenti. Non solo vige l’obbligo del figlio unico (tranne che in pochi casi): anche per il primo figlio occorre il permesso di una “cellula del controllo della popolazione”, in base ai numeri rigidamente pianificati dal governo centrale per ogni zona del Paese.
  «Meglio dieci tombe che una nascita fuori piano», «Una sterilizzazione fa onore a tutta la famiglia», «Meno bambini, più maialini da fattoria»: questi sono gli slogan con cui il regime cerca di inculcare nella popolazione l’idea del figlio unico obbligatorio. Per chi sgarra c’è l’aborto forzato, talvolta al 7° o 9° mese, o anche l’infanticidio: almeno mezzo milione di funzionari girano per il Paese arrestando le donne rimaste incinte senza permesso, o i loro familiari per indurle a costituirsi. Alcune testimonianze sono agghiaccianti; donne fatte abortire con metodi atroci, bambini appena nati buttati nella spazzatura, ancora vivi, o uccisi barbaramente davanti agli occhi della madre. Il regime si vanta di avere così evitato circa 400 milioni di nascite. Gli effetti di questa politica, a quanto denuncia Wu, sono il rapido invecchiamento della popolazione; un forte squilibrio fra i sessi, tant’è che milioni di cinesi non possono sposarsi per mancanza di donne e diventa sempre più frequente il rapimento o il commercio di donne vietnamite.
  Non solo: sono in aumento i suicidi di donne che hanno subito la violenza dell’aborto forzato. Mentre sono tantissimi i bimbi non registrati all’anagrafe, quindi privi di ogni diritto. A tutto questo si aggiunge la repressione contro che denuncia queste violenze o cerca di difendere le vittime: l’arresto e la tortura sono all’ordine del giorno.

 
Fonte: Avvenire, 25 luglio 2009