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Il rapporto 2009 di Amnesty International sullo stato dei diritti umani dimostra come l’organizzazione umanitaria sia sempre più impegnata nel promuovere globalmente un “diritto” all’aborto.
Nel capitolo dedicato alla Polonia, Amnesty accusa il paese di “negare l’accesso all’aborto per le donne che ne hanno titolo”, citando anche la critica che la Polonia ha ricevuto dal Consiglio per i Diritti Umani (HRC) dell’ONU nel maggio 2008. Inoltre il governo polacco viene criticato per non aver attuato una sentenza del 2007 della Corte Europea dei Diritti Umani, Tysiqc contro Polonia, riguardante un preteso “dovere di stabilire meccanismi efficaci per assicurare che le donne abbiano accesso all’aborto dove è legale”.
Alcuni analisti rilevano tuttavia che sia la critica dell’HRC sia la sentenza della Corte Europea citate da Amnesty mettono in evidenza una crescente tendenza tra le istituzioni per i “diritti umani” a cercare di imporre obblighi a determinati paesi basati sulle proprie scelte politiche piuttosto che su chiari princìpi giurisprudenziali.
La sentenza Tysiqc, finita con una sanzione di 25mila euro a carico del governo polacco, riguardava una donna affetta da grave miopia che sosteneva di rischiare la cecità se non le fosse stato praticato l’aborto. Esperti sostengono che le affermazioni della donna non erano in realtà sostenute da evidenze ma la Corte ha ignorato le opinioni di otto esperti, tra cui ginecologi e oftalmologi, secondo cui non c’era alcuna connessione tra la gravidanza e la sua situazione.
Il giudice spagnolo della Corte, Javier Borrego Borrego, in coraggioso dissenso, ha detto che la maggioranza ha deciso sulla base dell’opinione “isolata e confusa” di un medico generico in modo da poter raggiungere la sentenza desiderata. Tale giudizio è stato ripreso da Jacob Cornides che, sull’International Journal of Human Rights, ha scritto che la Corte “ha semplicemente mancato di stabilire qualsiasi legame tra i fatti e il diritto”.
Dando ampio risalto a decisioni come la sentenza Tysiqc e a documenti emanati dalle agenzie delle Nazioni Unite per promuovere un’agenda di aborto globale, Amnesty International ha semplicemente adottato una strategia originalmente condotta dall’associazione di avvocati pro-aborto Center for Reproductive Rights (CRR).
Secondo Susan Yoshihara del Catholic Family and Human Rights Institute (C-Fam), alla Conferenza “Women deliver” tenuta a Londra nel 2007, il coordinatore di Amnesty per i “diritti riproduttivi”, Stephanie Schlitt, ha impegnato la sua associazione a collaborare con il CRR per poter far riconoscere il diritto all’aborto attraverso cause legali, in parte sostenendo che tale diritto può essere ricavato da trattati sui diritti umani già esistenti.
Fino al 2006 Amnesty si era mantenuta neutrale sulla questione aborto e la sua posizione ufficiale era che non esisteva “un diritto all’aborto generalmente accettato in nessuna legge internazionale sui diritti umani”. Da quando ha abbandonato la neutralità, Amnesty è intervenuta ripetutamente in dibattiti nazionali in paesi come il Messico e la Repubblica Dominicana sostenendo – erroneamente – che il diritto internazionale obbliga i paesi a permettere l’aborto.
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