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La prima vittima della martellante propaganda sui cambiamenti climatici è la natura o, meglio, la nostra comprensione della natura. Terrorizzati ormai da ogni piccolo segnale di cambiamento, nell'immaginario collettivo la natura è statica, ha un suo definito punto di equilibrio che l'uomo - con la sua presenza e attività - ha fatto saltare. Siamo portati a pensare che la normalità stia nella staticità, in una sorta di fermo immagine che dura all'infinito. Invece la natura è dinamica, è in continuo cambiamento, non c'è mai una stagione uguale all'altra. E i cambiamenti climatici, lungi dall'essere un fenomeno nuovo, conseguenza di chissà quali nefandezze umane e foriero di catastrofi inimmaginabili, sono la normalità.
Senza neanche scomodare le cinque ere glaciali che hanno caratterizzato la storia della terra, e ben prima della comparsa dell'uomo, anche nell'attuale era ci sono stati almeno quattro periodi glaciali (con un forte avanzamento dei ghiacciai) intervallati da periodi interglaciali (della durata di 10-12mila anni), uno dei quali è quello che stiamo vivendo e che dura da circa 10.700 anni. Ma anche questi periodi interglaciali non sono uniformi: solo per stare ai tempi più recenti, gli storici del clima riconoscono periodi di riscaldamento ai tempi dell'Impero romano e nel Medio Evo (guarda caso chiamati "optimum"), e periodi di raffreddamento, il più importante dei quali si è registrato tra il XVI e il XIX secolo e fu chiamato la "piccola era glaciale". Dalla metà del XIX secolo è iniziato invece un nuovo periodo di riscaldamento che dura tuttora, ma che in 160 anni ha prodotto un aumento di temperature medie tra gli 0.8 e 1°C.
Ma neanche quest'ultimo periodo di riscaldamento è lineare: a un aumento delle temperature globali al suolo tra il 1850 e il 1878 (+0,5°C) succede una fase di decremento (nel 1911 siamo a -0.2°C rispetto al 1850) e poi un nuovo incremento fino al 1945 (+0.5°C rispetto al 1850). Da qui comincia un nuovo periodo di raffreddamento che dura fino al 1976, quando la temperatura è di appena 0.1°C superiore a quella del 1850. E si ricorderà infatti che a metà degli anni '70 c'erano continui allarmi sul raffreddamento globale. Quindi, da quel momento la temperatura ha ripreso a salire fino al 1998 (+0.85°C), ma dal 1998 le variazioni sono minime e, malgrado i continui allarmi sui mesi e sugli anni più caldi di sempre, si registra una sostanziale stabilizzazione delle temperature.
OGNI STAGIONE È DIVERSA DALL'ALTRA
Ma anche senza uno studio sui cicli del clima, dovrebbe appartenere alla esperienza di ciascuno la consapevolezza che ogni stagione è diversa dall'altra; che, pure all'interno di una certa fascia climatica, si registrano variazioni continue e anche eventi estremi. Basti pensare a come i vini vengono classificati in base all'anno di vendemmia, proprio perché ogni stagione è una storia a sé.
Oggi invece, spinti anche dalle continue campagne sul riscaldamento globale, si pretenderebbe che la natura fosse ferma, immobile. Se i notiziari ci informano che in questa settimana si è registrata una temperatura di un grado superiore alla media stagionale, scatta il panico: finiremo arrostiti, saremo sommersi dalle acque. Notizie date apposta per creare allarme, nessuno dice che la media stagionale è solo un dato statistico, non corrisponde affatto alla temperatura normale, quella che dovrebbe essere.
Non entriamo qui nel dibattito su quanto del rialzo delle temperature sia dovuto ai cicli naturali e quanto all'attività umana - cosa peraltro su cui non esistono certezze - ma sta di fatto che abbiamo perso la cognizione della dinamicità della natura. Addirittura assistiamo a manifestazioni pubbliche e grandi iniziative politiche contro i cambiamenti climatici, quando abbiamo visto che i cambiamenti climatici sono la normalità. Cose che in altri tempi suonerebbero ridicole e da ricovero in psichiatria, oggi sono vissute seriamente come la questione più importante per l'umanità.
Questa drammatica distorsione nella percezione della realtà - chiaramente voluta da chi sta manovrando il tema "clima" - è sicuramente facilitata anche dal fatto che viviamo sempre meno a contatto con la natura. Basti pensare che in Europa circa il 75% delle persone vive in realtà urbane, lontano da un rapporto con la natura; e soprattutto le giovani generazioni - nate e cresciute in realtà dove qualsiasi tipo di frutta e verdura è disponibile tutto l'anno e il cibo è già tagliato e pronto per l'uso al supermercato - non hanno conoscenza diretta dei cicli della natura, di come la natura funzioni.
L'ASSURDA PRETESA DI POTER REGOLARE LA TEMPERATURA DELLA TERRA
Ma c'è anche una costante nel rapporto uomo-clima che si lega allo sguardo che l'uomo ha sulla realtà e sul proprio destino. Per capirci citiamo un sermone di Sant'Agostino, che scrive queste cose nel IV secolo: «Vedete come stanno le cose. Viviamo in tempi brutti. Anche i nostri padri deplorarono di dover vivere brutti tempi, e anche i padri dei nostri padri. A nessun uomo sono mai piaciuti i tempi in cui è dovuto vivere. Ma chi vive dopo rimpiange i tempi andati. Ogni anno per lo più diciamo, quando sentiamo freddo: "Non ha mai fatto tanto freddo". O anche diciamo: "Non ha mai fatto tanto caldo". Tempi brutti! Ma son proprio brutti tempi quelli collegati con il movimento del sole?».
Così nel passato, gli scienziati - perlopiù cattolici - guardavano ai cambiamenti climatici studiandoli, cercando di capire i meccanismi della natura, per meglio adattarsi e proteggere le comunità degli uomini. Ricordiamo ad esempio l'abate e scienziato Antonio Stoppani (1824-1891) che, nella sua opera più nota - Il bel Paese - descriveva il ritirarsi dei ghiacciai alpini legato al riscaldamento della seconda metà dell'Ottocento. Era una descrizione del fenomeno e un tentativo di comprenderlo dal punto di vista scientifico. Nessun allarme, nessuna preoccupazione per il ritiro delle nevi alpine, anche perché non era passato molto tempo che i ghiacciai del Monte Bianco erano così estesi da minacciare i paesi sottostanti.
Nel 1881, dopo aver tenuto ai Lincei una applaudita relazione «Sull'attuale regresso dei ghiacciai sulle Alpi», al re Umberto di Savoia, che era presente e si mostrava preoccupato per l'evoluzione, Stoppani rispose: «Non si preoccupi, lasci fare alla Provvidenza». Non era fatalismo, era una conoscenza profonda della realtà. Non per niente oggi l'allarmismo climatico e la pretesa di poter regolare la temperatura della terra come se avessimo in mano un termostato, si accompagna alla cancellazione di Dio dalla storia, alla presunzione che sia l'uomo il padrone del cosmo e della storia. Se c'è una novità, un vero cambiamento, è che anche nella Chiesa ci si è accodati a questa visione atea.
Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Riccardo Cascioli, nell'articolo seguente dal titolo "Risorse esaurite? È solo propaganda per imporre leggi verdi" spiega perché sul tema delle risorse si è imposta la falsa idea nell'opinione pubblica che le risorse si stiano esaurendo a causa dell'eccessivo consumo, ma le cose non stanno affatto così. L'uomo consuma, ma anche produce e con la sua intelligenza e creatività sa usare gli elementi della natura in modo sempre nuovo e sempre migliore.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 19 agosto 2019:
Legato alla grave distorsione della realtà della natura, è il tema delle risorse, fonte di un gravissimo equivoco. Nei giorni scorsi anche papa Francesco, in una intervista, ha citato l'Overshoot Day (il giorno del superamento del limite), ovvero il giorno in cui l'umanità finisce di usare tutte le risorse generate in un anno. Giorno che quest'anno sarebbe caduto il 29 luglio e, neanche a dirlo, ogni anno si anticipa il giorno in cui la Terra entra "in riserva": tanto per dare un'idea, nel 2008 l'Overshoot Day era stato fissato al 23 settembre. Come a dire: le cose non solo vanno male, vanno sempre peggio e la catastrofe è vicina. Del resto, se fosse vero che da ormai tanti anni l'uomo vive ben oltre i limiti consentiti dalla finitezza della Terra, ci sarebbe da stupirsi del fatto che ci siamo ancora, e anche in buona forma.
Il tema è strettamente connesso a quello dei cambiamenti climatici non solo per l'esito che si prospetta - comunque vada, sarà una catastrofe - ma anche per l'idea di un uso delle risorse ben oltre i limiti che, in un caso, provocherebbe un'impennata del riscaldamento della terra e dall'altra l'esaurimento delle risorse.
Che, essendo la Terra finita, anche le risorse a disposizione lo siano, sembrerebbe una affermazione di puro buon senso. In realtà, le cose non stanno proprio così e il nodo della questione è proprio sul concetto di risorse. La teoria della "Terra in riserva" implica che il concetto di risorsa sia definito dalla natura.
Chi sostiene questa teoria porta il classico esempio della torta (o anche del barattolo di caramelle): c'è una sola torta a disposizione al giorno, che soddisfa adeguatamente dodici bambini; se i bambini aumentano non ce ne sarà abbastanza per tutti, per cui o qualcuno rimarrà senza o tutti ne mangeranno al di sotto della necessità; se invece qualcuno, goloso, ne prenderà doppia razione ecco che qualcun altro rimarrà senza. Così, si dice, è anche delle risorse che la Terra ci mette a disposizione; e da qui nasce anche tutto il discorso - con conseguenti accordi internazionali - dei paesi ricchi che devono compensare i paesi poveri, a causa di quel che hanno consumato per diventare ricchi (e così inquinare e cambiare il clima). Inoltre, se la torta è data e i bambini cominciano a essere troppi, si pone il problema di come limitare i bambini (il discorso della sovrappopolazione).
La realtà però ci dice che questo concetto di risorsa, come definita dalla natura, è gravemente errato. Se così fosse, la quantità di risorse dovrebbe essere un dato conosciuto, misurabile e immutabile. Il che non è affatto così. Anzi, nella storia le risorse sono andate sempre diversificandosi e moltiplicandosi. Se pensiamo ai minerali, ad esempio, vediamo che nel XX secolo le riserve conosciute di tutti i minerali sono moltiplicate (e i costi diminuiti) in misura ben maggiore rispetto all'aumento della popolazione che, pure, nel giro di un secolo è quadruplicata. Solo tra il 1950 e il 1990 la disponibilità di bauxite è aumentata del 1.436%, il cromo del 500%, il rame del 250%, il ferro del 663%, e così via. Nello stesso periodo le riserve conosciute di petrolio sono aumentate del 863%.
Non è qui possibile trattare in dettaglio l'argomento (per un approfondimento rimando al libro R. Cascioli-A. Gaspari "I padroni del pianeta", Piemme 2009), però vediamo alcuni punti fondamentali per comprendere questo punto.
Anzitutto cosa definisce una risorsa? Lo spiega qualsiasi dizionario: essa è un mezzo per provvedere a un bisogno, a una necessità. L'acqua non è una risorsa in sé, ma in quanto risponde a un bisogno, fosse anche solo per essere guardata, come nel caso di laghi o mari o ruscelli di montagna. Come prima cosa dunque, si deve riconoscere che a definire la risorsa è il bisogno dell'uomo che, a sua volta, valorizza ciò che c'è nella natura. Tra uomini e risorse dunque, il rapporto - nella sua essenza - non è conflittuale.
Seconda questione: proprio da quanto ora detto segue che le risorse valgono in quanto servono a qualcosa. Noi siamo interessati non alla risorsa in sé ma al servizio che la risorsa ci offre. Il petrolio è una risorsa in quanto, ad esempio, carburante che permette alle automobili di muoversi.
Inoltre, elemento fondamentale per cui la risorsa può essere definita tale è il lavoro dell'uomo. Se pensiamo a qualsiasi minerale, c'è dietro un lavoro di esplorazione, estrazione, lavorazione e così via. E questo vale anche per le risorse più "naturali", come l'acqua: nessuno va infatti a bere e prendere acqua alla sorgente, ci arriva direttamente in casa grazie al lavoro di chi ha ideato e realizzato acquedotti, condutture, impianti di potabilizzazione e purificazione, pompe, rubinetteria e così via.
Ancora un elemento da sottolineare è il fatto che, mentre si parla sempre di risorse consumate, mai si menziona il fatto che le risorse vengono anche prodotte. I modi sono diversi, uno di questi è la sostituzione e creazione dei materiali, sempre più efficienti e meno costosi. Ad esempio, l'introduzione dei metalli per costruire le navi ha salvato l'Europa dalla deforestazione; e ancora, la maggior parte dei vestiti che indossiamo oggi è preparata con fibre sintetiche costruite in laboratorio. E si potrebbe proseguire per parecchio.
Ma questo discorso vale anche per le cosiddette risorse non rinnovabili? Come l'acqua ad esempio? Certamente. Basti pensare alle grandi innovazioni tecnologiche: impianti di potabilizzazione, il sistema di irrigazione a goccia (che rende possibile risparmi enormi nel consumo per l'agricoltura, responsabile del 70% del consumo globale di acqua), impianti di desalinizzazione; impianti di purificazione e riciclo delle acque.
La conclusione è evidente: a definire la risorsa non è la natura, ma l'uomo e la sua capacità e creatività di usare gli elementi della natura. L'unica vera risorsa è dunque l'uomo. E da temere sono soltanto quegli Stati o quelle entità sovranazionali che, per un motivo o l'altro, vogliono limitare la presenza dell'uomo o ingabbiare la sua creatività, vincolandola a leggi e regolamenti che hanno proprio lo scopo di dimostrare che è necessario limitare la presenza e l'attività dell'uomo. Esattamente come sta avvenendo con le leggi "ecologiste" e "contro i cambiamenti climatici".
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