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L'invito a rimanersene a casa, in Francia, vale doppio. Chi esce, rischia non soltanto di essere contagiato, ma anche di rimanere vittima di un attacco jihadista mentre sta ordinatamente in coda al supermercato mantenendo le distanze dal prossimo.
Ieri, intorno alle 11 del mattino, due persone sono state uccise e altre sette ferite da un rifugiato sudanese che secondo alcuni testimoni che lo avrebbero udito gridare «Allah akhbar!», le ha pugnalate nel centro di Romans-sur-Isère, nel dipartimento della Drôme, nel sud-est della Francia. Secondo quanto riferito dai media locali, l'uomo ha prima sgozzato un quarantenne, appena uscito di casa con la moglie e la figlia. L'azione sarebbe proseguita poi in diversi esercizi commerciali, con l'accoltellamento di un tabaccaio e di due clienti, prima di uscire e colpire altre persone in strada e all' interno di una panetteria. Quattro dei feriti sono ricoverati in condizioni critiche.
LA MINACCIA IGNORATA
Circondato e poi bloccato con un taser da una pattuglia della polizia, mentre era in ginocchio e chiedeva di essere ucciso, l'aggressore, dopo aver proclamato che Allah è l'unico Dio e Maometto il suo profeta, avrebbe dichiarato di chiamarsi Abdallah Ahmed Osman e di essere nato nel 1987 a Tendelty, nella regione sudanese del Darfur. Rinchiuso in cella, continuava a salmodiare interi capitoli del Corano. L'identità dell'uomo sarebbe confermata anche da un permesso di soggiorno rilasciatogli chissà come e per quale misterioso motivo umanitario dalle autorità francesi nel 2007. Se avevano ritenuto che fosse una vittima bisognosa di protezione internazionale, è ovvio che lo lasciassero anche libero di circolare, senza minimamente sospettarlo di essere un potenziale stragista, assente dalle Fiche S, quindi del tutto sconosciuto all'antiterrorismo.
Gli obiettivi presi a caso, il riferimento esplicito all'islam, la nazionalità dell'assassino, in realtà non lasciano molti dubbi sulla natura del gesto. Eppure «non conosciamo ancora le motivazioni di questo attacco», ha spiegato in una nota il municipio di Romans. In realtà la procura antiterrorismo di Parigi nella serata di ieri è stata incaricata delle indagini e ha aperto un'inchiesta preliminare per omicidio e tentativo di omicidio, in relazione a un'azione terroristica e a un'associazione terroristica. L'ipotesi investigativa parte, sostiene un comunicato dei giudici, da «un percorso omicida determinato a sconvolgere l'ordine pubblico con l'intimidazione o il terrore» e da alcuni elementi a connotazione religiosa, sequestrati durante una perquisizione e nei quali l'autore denuncia «un Paese di miscredenti». Nel frattempo, risulta che sia stato arrestato anche un coinquilino del profugo sudanese, due persone siano state interrogate e siano in corso altri fermi di persone sospette.
Stavolta, insomma, potrebbe anche non trattarsi di uno squilibrato o di un lupo solitario, ma di un gruppo determinato a compiere stragi fra la popolazione.
UNA SCIA DI OMICIDI
Oltralpe, gli scoppi improvvisi e apparentemente casuali di guerra santa sono ormai tanto numerosi quanto frequenti. Era accaduto il 3 gennaio scorso, a VilleJuif, periferia sud di Parigi, quando un uomo era stato accoltellato davanti alla moglie e altre due persone erano state ferite. In precedenza, il 31 agosto 2019 a Lione, un afghano richiedente asilo aveva pugnalato a morte un uomo ferendo altri otto passanti.
Così si alza in Europa la bandiera nera dell'odio islamico, facendo appello ai musulmani più tiepidi perché seguano l'esempio delle loro avanguardie e moltiplichino le loro vittime.
A livello istituzionale, invece, l'unica risposta, in questi casi, riguarda la cautela politica di non coinvolgere le comunità di musulmani e allontanare ogni accusa nei loro confronti, allo scopo di evitare rappresaglie contro le moschee e una successiva eventuale escalation di violenza. Si tenta di evitare la guerra civile, in un momento nel quale le forze dell'ordine e l'esercito sono impegnati ad assicurare il rispetto delle disposizioni del governo per scongiurare un ulteriore diffusione della pandemia.
In un tweet il ministro dell' Interno Christophe Castaner ha parlato di «un atto odioso», subito seguito da una dichiarazione ufficiale dell'Eliseo, nella quale il capo dello Stato, Emmanuel Macron, ha assicurato che «sarà fatta piena luce sull'atto atroce». «I miei pensieri sono con le vittime dell' attacco a Romans-sur-Isère, i feriti, le loro famiglie. Tutta la luce verrà fatta su questo atto odioso che ha gettato il nostro Paese nel lutto, che è già stato duramente colpito nelle ultime settimane», ha scritto il presidente della Repubblica sul suo account Twitter, riferendosi all' epidemia di Covid-19 che ha travolto la Francia.
Forse si erano dimenticati dell'altra emergenza. In concorrenza con il coronavirus, che negli Usa ha già provocato più morti degli attentati dell' 11 settembre, i terroristi islamici sono corsi ai ripari. Per non essere da meno.
Nota di BastaBugie: Mauro Faverzani nell'articolo seguente dal titolo "Nessuna condanna per terrorismo e guerre sante" spiega come l'allarme Coronavirus a livello mondiale rischia di far perdere di vista altre emergenze come quella islamica. Pericolo viceversa rilanciato dalle cronache dei giorni scorsi, riportando purtroppo tutti alla triste realtà, come dimostra, ad esempio, il discorso tenuto pubblicamente a Istanbul il mese scorso dal presidente turco Erdogan.
Ecco l'articolo completo pubblicato su Corrispondenza Romana il 1° aprile 2020:
L'allarme Coronavirus a livello mondiale rischia di far perdere di vista altre emergenze da tempo latenti in aree geopoliticamente critiche, come quella islamica. Pericolo viceversa rilanciato dalle cronache dei giorni scorsi, riportando purtroppo tutti alla triste realtà, come dimostra, ad esempio, il discorso tenuto pubblicamente a Istanbul lo scorso 8 marzo dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
In esso ha chiarito come la crisi di migranti, scatenata al confine con la Grecia poco prima che la pandemia prendesse piede, fosse da intendersi come un atto ostile nei confronti dell'Europa, anzi una sorta di "guerra santa" islamica e, quindi, anche un tentativo di ristabilire l'impero ottomano e non semplicemente, come dichiarato all'inizio, una forma passiva di pressione su Nato ed Unione Europea per una redistribuzione dei rifugiati in fuga dalla Siria. «Questa tempesta, che sta scoppiando, è l'orda turca, o Signore! Conduci alla vittoria, perché questo è l'ultimo esercito islamico. Sì, questa tempesta, che si scatena, è il nostro esercito! Allah lo sostiene assieme alle preghiere di milioni di nostri amici. Questa tempesta è il cuore della nostra nazione. Tutti vedono e vedranno di cosa sia capace» ha, tra l'altro, dichiarato Erdogan. Parole, dunque, ben più minacciose della richiesta di una sorta di "corridoio umanitario" internazionale. Erdogan ha, tra l'altro, iniziato - non a caso - il suo intervento, citando una poesia di Yahya Kemal Beyath dal titolo 26 agosto 1922, con riferimento al giorno in cui la «Grande Offensiva», scatenata nel quadro della guerra d'indipendenza turca, schiacciò l'esercito greco, sbaragliandolo ed ammazzando o facendo prigioniera la metà dei soldati ellenici.
In effetti, secondo molti osservatori, il ruolo svolto anche nei giorni scorsi dalla Turchia nella crisi con la Grecia sarebbe stato molto più attivo di quanto si sia voluto far credere. L'emittente televisiva bulgara bTV ha accusato il governo di Ankara di aver spostato torme di immigrati al confine, dotandoli di gas lacrimogeni per inscenare la guerriglia, cui il mondo intero ha assistito. Alcuni video mostrerebbero stranieri costretti dai militari a scendere con la forza e sotto la minaccia di armi dagli autobus. Il che conferma l'analisi fatta da alcuni leader politici europei, tra i quali il primo ministro ungherese Viktor Orbán, che ha parlato espressamente di «un'invasione».
Siamo di fronte ad un chiaro segnale, certo, ma non al solo. L'università islamica egiziana d'al-Azhar, una tra le più antiche ed autorevoli al mondo, si è rifiutata di bollare i miliziani dell'Isis come «eretici». Lo ha rivelato un rapporto presentato lo scorso 20 marzo dal Memri-Middle East Media Research Institute. La decisione di astenersi in merito e di non emettere alcuna fatwa dipenderebbe dal fatto di non volersi scontrare con le organizzazioni più estremiste ovvero Isis, Fratelli Musulmani ed altri movimenti analoghi. Secondo il rettore del prestigioso ateneo, Muhammad Ahmad al-Tayyib, «se decidessi che sono eretici, sarei come loro», ha dichiarato, rispondendo alla questione posta da un gruppo di studenti dell'Università del Cairo. Il vicerettore, Abbas Shuman, ha quindi aggiunto: «Per quel che ne so, in tutta la storia di al-Azhar, mai nessuno, persona o movimento, è stato da essa accusato di eresia. Non è questa la missione di al-Azhar». Sei anni fa Abbas Shuman era giunto a dichiarare «terroristiche le azioni dell'Isis» (si noti: le azioni, non coloro che le compiono, NdR), definendole «incompatibili con il buon islam. Il male provocato da quest'organizzazione dev'essere combattuto» (si noti: il male provocato, non l'organizzazione in quanto tale, NdR), anche «col ricorso alla forza», ma - ed ecco la vera conclusione di tutto questo arzigogolato discorso - «i suoi membri non devono mai essere dichiarati eretici».
La laconica posizione espressa da al-Azhar è stata duramente criticata dai media egiziani e percepita come una forma di reticenza nel cooperare alla lotta contro il terrorismo islamico. Secondo quanto scritto dal poeta egiziano Fatma Na'out sul quotidiano al-Masri al-Yawm, sarebbe ora che «al-Azhar si rendesse conto» di avere tra le mani la «bacchetta magica», per seppellire il terrorismo in Egitto e per sconfiggere l'Isis nel mondo: l'emissione di «una fatwa chiara e decisiva, che proclami eretico l'Isis» priverebbe di qualsiasi difesa «questi mostri», ha concluso. Da qui l'invito a non trasformarli in «fratelli nell'islam», che sarebbe «pertanto doveroso aiutare, anche quando pecchino, senza condizioni né riserve, in quanto musulmani».
I media egiziani accusano gli stessi programmi accademici di al-Azhar di promuovere l'estremismo ed il terrorismo. L'ex-ministro della Cultura, Gaber 'Asfour, ha definito il sistema educativo della celebre università islamica «atrofizzato ed arretrato», stagnante e retrogrado. Tutte accuse respinte dai diretti interessati, che hanno accusato la stampa d'aver scatenato contro di loro una campagna denigratoria e scorretta. Ma le accuse loro rivolte restano. E sono pesanti. Per smontarle, non bastano le chiacchiere, occorrono i fatti. In Turchia come in Egitto ed altrove, ovunque cioè scorra del sangue per mano delle sigle terroristiche islamiche.
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