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La cavalleria è morta, così si sente spesso dire. Oppure: la cavalleria è roba d'altri tempi! Medioevo, commenta qualcun altro, per indicare una cosa vecchia, morta e sepolta. È proprio così? La cavalleria è roba di un'altra epoca, improponibile all'uomo d'oggi, liquido e tecnologico? Io credo che la cavalleria non sia vecchia: credo che sia eterna. Lo dimostrano l'aner greco, al vir romano, fino al galantuomo (gentleman, all'inglese).
A chi pensa che la cavalleria sia una cosa laica e che non riguardi i cattolici, ricordiamo che san Giovanni Bosco, educatore sommo proponeva ai suoi ragazzi (tra gli altri) uno slogan cavalleresco: piuttosto la morte, ma non il peccato. Don Bosco voleva che i suoi ragazzi fossero cavalieri e proponeva loro quel modello. Il fatto è che nasciamo (anzi: veniamo concepiti) maschi; e abbiamo il compito di diventare uomini. Uomini compiuti, cioè veri uomini: eroi, cavalieri. È come se, assegnandoci un sesso, ci venisse assegnato un compito, un destino da compiere, una vocazione. Non scegliamo chi diventare: scegliamo di aderire ad un progetto, oppure di rifiutarlo.
Per realizzare questo progetto abbiamo bisogno di una guida, di una indicazione. Soprattutto nella società attuale, nella quale l'uomo appare sempre più spaesato, confuso, in balia delle mode e di ogni refolo di vento.
DECALOGO PER IL CAVALIERE MODERNO
Ecco, dunque, un decalogo per il cavaliere moderno; un cavaliere, come si dice attualmente, 2.0.
1) Il cavaliere vive in un mondo metafisico, non un mondo materiale. Sa che «ciò che facciamo in vita riecheggia per l'eternità» (cit. Il gladiatore). Cerca il bene e rifugge il male. Coltiva la propria spiritualità in modo virile e non se ne vergogna. Porta sempre con sé il santo rosario, segno visibile della propria servitù a Maria. Coltiva un rapporto personale con Dio; dedica la sua vita all'imitatio Christi. Poiché Cristo è «il paradigma e l'esemplare
degli uomini-maschi» (Mulieris dignitatem, § 25).
2) Il cavaliere è forte e coraggioso (Giosuè 1). Ha, cioè, sviluppato la virtù della fortezza che consiste nella disponibilità a soffrire, a perdere qualcosa, pur di conseguire il bene. Non ha paura di pagare il fio per le sue azioni, di assumersene la responsabilità. Non gli importa di compromettere la carriera, l'amicizia o la reputazione, se questo e il prezzo della propria personale dignità.
3) Il cavaliere rifugge la reputazione, il rispetto umano; non cerca la compiacenza. Non vuole piacere agli uomini, il cui giudizio è scritto sulla sabbia; bensì a Dio e alla propria coscienza (Galati 1, 10). Prende esempio da Cristo, del quale la gente diceva «è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori» (Matteo 11,19) e non se ne preoccupava minimamente.
4) Il cavaliere onora la sua parola. Non se la rimangia quando, per rispettarla, deve pagare un prezzo (Salmo 15, 4). Ovviamente, questo vale anche (e soprattutto) per la solenne e pubblica promessa matrimoniale: «Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti per tutti i giorni della mia vita». Ama la verità, cioè Cristo (Giovanni 14, 6); non pronuncia falsità. Se non può essere sincero, tace:; ma non mente.
5) Il cavaliere, se non può parlare bene di qualcuno, non ne parla affatto (cit. Giulio Andreotti). Infatti parla molto poco; così facendo evita di dire continuamente stupidaggini. Non ama i social media, mezzo di maldicenza, mormorazione e derisione; se li usa, lo fa con circospezione e prudenza. Non parla mai degli assenti: se deve dire qualcosa, la dice apertamente, faccia a faccia. Non è volgare né sguaiato.
6) Il cavaliere tratta gli altri secondo la «regola aurea»; come lui stesso vorrebbe essere trattato (Luca 6, 31). È capace di mettersi nei panni degli altri, cosa che è il fondamento della buona educazione. Non tollera prepotenze, ingiustizie e soprusi, soprattutto nei confronti dei più deboli.
7) Il cavaliere rispetta la femminilità della donna, anche se essa stessa non lo fa. Mette la sua forza e le sue doti al di lei servizio, anche se lei non lo chiede e non lo desidera. Non lo deve a lei, ma a se stesso. Non usa le donne, non le seduce.
8) Il cavaliere ama il lavoro. Non lo considera una fonte di soddisfazione e di realizzazione, come fa il borghese. Ma accetta con gioia la punizione divina (Genesi 3, 19) e l'ammonizione dell'apostolo (2 Tessalonicesi 3, 10). Ama la fatica, sa che essa paga sempre. Rifugge l'accidia, peccato mortale.
9) Il cavaliere è povero, nel senso evangelico della parola (Matteo 6, 21). Non è attaccato ai beni materiali (automobili e cellulari compresi) né al denaro; li considera un mezzo (per il sostentamento proprio e della propria famiglia), non un fine. È generoso, fa la carità appena può, e ringrazia chi gliene dà la possibilità.
10) Il cavaliere è casto. Ed è casto perché è libero. Se un uomo è schiavo delle proprie passioni, è semplicemente schiavo (Giovanni 8, 34). Troverà sempre qualcuno disponibile a tenerlo al guinzaglio.
CONCLUSIONE: L'ESERCIZIO UMILE E QUOTIDIANO DELLE VIRTÙ
Ecco, dunque, un decalogo per il cavaliere dei tempi moderni. [...] Lo scrivente non sta proponendo se stesso come modello di cavalleria compiuta, ma come confratello dell'ordine cavalleresco, compagno di viaggio. Siamo tutti in cammino, fino a quando Dio vuole.
Come si vede, il codice qui proposto è composto da virtù (temperanza, giustizia, fortezza,..); e le virtù, essendo abiti (come i vizi) si acquisiscono esercitandole. Ogni giorno, nelle piccole cose quotidiane. È cosi che si conquistano le più alte vette morali: con pazienza e perseveranza (altre virtù). Non è l'exploit di una volta, che fa di noi dei cavalieri; piuttosto l'esercizio umile e quotidiano delle virtù.
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