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Il DDL 998, approvato pochi giorni fa in Senato con una maggioranza "bulgara" di 195 favorevoli, un solo contrario (la Senatrice a vita Elena Cattaneo) e un astenuto, e che dovrà comunque effettuare un ulteriore passaggio alla Camera per l'approvazione definitiva, è solo la legge più recente a supporto del settore dell'agricoltura biologica partorita dal nostro Parlamento.
Su tale legge, il cui testo approvato in Senato è disponibile online, una parte significativa del mondo scientifico ha ingaggiato una battaglia culturale cui ha partecipato in prima persona anche il sottoscritto e che si è sostanziata in due documenti di analisi, ricchi di bibliografia e inviati ai Deputati e Senatori. Nello specifico il documento inviato a tutti i Senatori il 19 gennaio 2019 è liberamente consultabile sul sito Agrarian Sciences ove è riportata anche la lista dei 444 esperti che lo hanno sottoscritto (fra di loro molti docenti universitari, agricoltori e tecnici del settore agricolo). Tale battaglia si è conclusa appunto con uno stupefacente "195 a 1", che non mi abbatte in alcun modo in quanto ho la coscienza di aver agito per l'interesse nazionale e per la scienza, come vedrò di illustrare nel prosieguo di questo scritto e come dimostra il voto contrario della collega professoressa Elena Cattaneo, di cui ci tengo in premessa a lodare la coerenza rispetto ai propri ideali scientifici, una coerenza che peraltro nell'episodio in questione è stata vissuta nella più totale solitudine.
Premetto anche che "il marcio sta a Bruxelles", nel senso che l'Unione Europea da anni legifera a favore del biologico e che più di recente, tramite il cosiddetto "Farm to fork", ha posto il biologico al cuore della politica comunitaria dei prossimi anni.
I TANTI MOTIVI DI CONTRARIETÀ ALLE AGRICOLTURE BIO
Il DDL 998 devolve denaro pubblico alle agricolture bio (biologico e biodinamico) finanziando ricerca, innovazione, promozione, educazione alimentare al consumo di prodotti bio, insegnamento universitario e creando un sistema sementiero parallelo in cui gli agricoltori scambiano fra loro sementi senza alcun riguardo alle leggi sementiere che i comuni agricoltori sono tenuti a rispettare e che sono uno dei presupposti per un'agricoltura al passo con i tempi, in quanto fissano i requisiti di qualità a cui le ditte che commercializzano sementi sono tenute ad attenersi.
Circa l'insegnamento universitario, che è tra le cose che più mi sta a cuore, prego i lettori di immaginare lezioni in cui i professori disquisiscono dottamente delle fantomatiche "energie cosmiche" su cui si fonda il biodinamico, rovinando in tal modo generazioni di studenti. Il povero Galileo si rivolterà nella tomba così come si rivolteranno migliaia di scienziati che alla sua grande lezione (la scienza fondata sull'osservazione della realtà e la sua interpretazione) si sono per secoli ispirati.
Ogni legge che il nostro parlamento approva dovrebbe a mio avviso avere come principio ispiratore l'interesse generale, che in agricoltura si esprime come piena sostenibilità (ambientale, economica e sociale), salubrità dei prodotti e autosufficienza alimentare. In altri termini prodotti agricoli di qualità e a prezzi contenuti per il consumatore e per le filiere agro-alimentari.
BIO, OBSOLETO E INSOSTENIBILE
A tale riguardo il biologico, lungi dall'essere il modello di agricoltura per l'Europa del futuro, si presenta oggi come una tecnologia obsoleta e insostenibile, per l'elementare motivo che a fronte di una qualità dei prodotti non significativamente diversa, produce dal 20 al 70 % in meno del convenzionale. Al riguardo è fondamentale considerare i dati produttivi statunitensi e francesi di pieno campo, perché frutto di sistemi di monitoraggio delle produzioni di gran lunga più efficaci del nostro.
Si scopre così che in Francia, secondo dati INRA, l'agricoltura convenzionale offre rese medie di 77 q/ha per il grano tenero (di cui la Francia è il maggior produttore europeo) mentre il frumento tenero biologico produce 29 q/ha (il 62% in meno) e dunque convertire l'agricoltura francese al biologico significherà trasformare un grande paese esportatore di cereali in un importatore, con effetti negativi sulla sicurezza alimentare globale: la Francia sarebbe infatti costretta ad approvvigionarsi sul mercato mondiale facendo aumentare i prezzi, con risvolti negativi sui paesi in via di sviluppo che dal mercato mondiale si riforniscono (chi si ricorda delle primavere arabe del 2008 può intendere appieno cosa significhi un aumento dei prezzi dei cereali sul mercato internazionale).
A ciò si aggiunga che l'aumento di domanda sul mercato mondiale spingerebbe molti paesi che si trovano in zone del mondo ecologicamente "fragili" a dissodare per rispondere all'aumentata richiesta, come del resto sta già accadendo nei paesi del bacino del Rio delle Amazzoni: alla faccia della sostenibilità ambientale e delle polemiche contro Bolsonaro, in cui i leader europei, almeno a parole, eccellono. E non ci si venga a dire che diventando tutti vegetariani risolveremmo il problema, in quanto (a parte il fatto che fino a prova contraria siamo onnivori) gli animali domestici consumano sì il 30% dei cereali ma ci ripagano producendo il 21% delle calorie e il 25% delle proteine consumate dall'umanità.
CO2, COL BIO EMISSIONI TRIPLE
I fautori del bio lo indicano da tempo come "modello di sostenibilità, impegno per il clima e rispetto dell'ambente" ma si scordano ad esempio di dirci che le emissioni di CO2 per tonnellata di riso prodotto sono triple nel biologico rispetto al convenzionale e doppie per tonnellata di frumento. Che dire poi del rame, fitofarmaco obsoleto, con un quadro tossicologico inquietante e che non è biodegradabile per cui persiste nell'ambiente per tempi indefiniti? L'odio ideologico per la chimica e per la stessa genetica (selezione di varietà resistenti alle malattie con l'uso delle più moderne tecnologie) spingono da decenni il biologico a fondare sul rame la difesa fungicida, non proponendo alcuna reale alternativa in termini di molecole a minore impatto ambientale e/o di miglioramento genetico.
E la produzione calerà
A ciò si aggiunga che in Italia il bio non è in alcun modo una scelta strategica poiché farà calare le produzioni, aumentando la nostra dipendenza dall'estero, già oggi molto forte: importiamo il 50% del frumento per pane e pasta e il 35% dei mangimi zootecnici da cui derivano prodotti da esportazione come i formaggi-grana e i prosciutti.
Quanto detto pone dubbi fondati rispetto al panegirico sulle virtù del biologico elevato nell'art. 1, c. 2: "la produzione biologica è un sistema globale di gestione dell'azienda agricola e di produzione alimentare, basato sull'interazione tra le migliori prassi in materia di ambiente e azione per il clima e di salvaguardia delle risorse naturali e, grazie all'applicazione di norme rigorose di produzione, contribuisce alla qualità dei prodotti, alla sicurezza alimentare, al benessere degli animali, allo sviluppo rurale, alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, alla salvaguardia della biodiversità e al raggiungimento degli obiettivi di riduzione dell'intensità delle emissioni di gas a effetto serra stabiliti...". Tale panegirico rappresenta peraltro un miglioramento, ottenuto anche grazie all'impegno del nostro gruppo di docenti, tecnici e imprenditori agricoli, rispetto al testo originario, in cui il biologico era addirittura definito "di interesse nazionale".
Dov'è l'interesse per lo Stato?
Qual è la morale di tutto ciò? Se un produttore ritiene che per sfuggire alla logica dei prezzi bassi che caratterizzano le commodities sia per lui conveniente passare al biologico è libero di farlo. Tuttavia, non vedo in base a quale interesse generale si debba pagare con denaro pubblico la minore efficienza in termini produttivi e il maggiore impatto ambientale che da ciò inevitabilmente deriva. Se il biologico è davvero più gradito al consumatore, le relative filiere debbono essere in grado di stare sul mercato godendo degli stessi contributi riservati agli altri agricoltori, contributi che già oggi sono sensibilmente inferiori a quelli riservati al biologico, nel senso che nell'agricoltura convenzionale le sovvenzioni pubbliche coprono il 31% del reddito netto contro il 45% del biologico (fonte: Bioreport 2018).
Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Luigi Mariani, nell'articolo seguente dal titolo "Agricoltura bio, c'è un substrato di pseudoscienza" spiega che l'alternativa al bio esiste e si chiama agricoltura integrata, che supera la scarsa efficienza del bio.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 1° giugno 2021:
Le agricolture del gruppo bio hanno un substrato pseudoscientifico inquietante. Pseudoscientifica è l'idea secondo cui una molecola di urea di sintesi possa isterilire il suolo mentre l'analoga molecola presente nelle urine dei mammiferi sia un ottimo concime, così come è pseudoscientifica la distinzione fra fitofarmaci "naturali" buoni e fitofarmaci "di sintesi" cattivi: in natura vi sono i peggiori veleni di questo mondo (la cicuta da Conium maculatum e l'atropina da Atropa belladonna, solo per fare due esempi) e per rendersene conto basta consultare le etichette di alcuni fitofarmaci "naturali" usati dal biologico (Azadiractina, Spinosad, rame) e confrontarle con quella del tanto vituperato Glyphosate (il Roundup di Monsanto). Le etichette sono disponibili nella banca dati dei prodotti fitosanitari presso il Ministero della salute e per i prodotti "naturali" riportano frasi del tipo "molto tossico per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata" o "può provocare reazioni allergiche", assenti per il Glyphosate.
Ciò peraltro dà modo di evidenziare un paradosso del DDL 998: all'art. 9 (Fondo per lo sviluppo della produzione biologica) si dice che il fondo è alimentato dal 2% del fatturato derivante dalla vendita di prodotti fitosanitari autorizzati e che presentino caratteri di ecotossicità particolari (ad esempio i codici di pericolo H400, H410, H411, H412 e H413 che designano prodotti tossici per gli organismi acquatici). Il bello è che vari prodotti usati in biologico presentano tali caratteri di ecotossicità (ad esempio H410 e H411 per il solfato di rame, H410 per Spinosad e Azadiractina), per cui si finanzia il biologico con un fondo ricavato a partire dai prodotti ecotossici che lo stesso biologico utilizza, incentivando in sostanza l'uso di tali prodotti. È davvero un bel guazzabuglio.
A ciò si aggiunga che zolfo e solfato di rame usati in biologico hanno ben poco di naturale in quanto derivano dall'industria chimica e addirittura lo zolfo deriva dalla desolforazione dei combustibili fossili. E ancor più pseudoscientifico è affidare le nostre colture alle "energie cosmiche" come fanno i biodinamici, che per il resto sposano gli stessi preconcetti pseudoscientifici propri del biologico.
Ci tengo qui ad aprire un inciso sui fitofarmaci ("medicine delle piante" o, se preferite, "pesticidi", inglesismo spregiativo a cui come agronomo preferisco non ricorrere): il lettore si sarà forse stupito apprendendo che anche nel biologico si usano fitofarmaci e qui rimarco il ruolo deleterio dei grandi media che da sempre indicano i fitofarmaci come appannaggio esclusivo della sola agricoltura "convenzionale", senza rendersi conto che anche il biologico ricorre in molti casi a tali prodotti, in quanto senza prodotti fitosanitari molte colture registrerebbero cali produttivi enormi e la stessa salubrità sarebbe messa a repentaglio dalle sostanze naturali e ciò nondimeno molto tossiche e in vari casi cancerogene (Aflatossine, Fumonisine, Deossinivalenolo, ecc.), prodotte dai funghi nemici delle colture.
L'alternativa al biologico esiste e si chiama agricoltura integrata, vale a dire l'agricoltura che senza pregiudizi ideologici fa proprie le migliori innovazioni nei settori della genetica e delle tecniche colturali, al fine di garantire sicurezza alimentare in un quadro di sostenibilità economica, sociale e ambientale. Tale agricoltura, che dispone anche di un proprio marchio, oggi purtroppo poco noto ai consumatori (e anche in questo c'è evidentemente una ragione...), è in grado di superare il più evidente limite delle agricolture bio che è costituito dalla scarsa efficienza (scarse rese per ettaro, dal 20 al 70% in meno rispetto al convenzionale) da cui deriva in ultima analisi l'insostenibilità sul piano ambientale del bio in quanto per compensare tale inefficienza occorrerebbe il 20-70% in più di terra, di cui non disponiamo a meno che non si decida di intaccare gli ecosistemi forestali e di prateria.
Un giovane imprenditore agricolo francese, che ha recentemente convertito la sua azienda al biologico, spiegava in un'intervista televisiva che un m2 di terreno coltivato da suo padre produceva 3 baguettes (il pane francese) mentre lo stesso m2 coltivato da lui ne produce ora una sola, il che per inciso calza alla perfezione con i dati che segnalavo in precedenza (29 q per ettaro contro 77 per il grano tenero). L'intervistato spiegava inoltre che tale débâcle non lo disturbava più di tanto in quanto i contributi pubblici lo compensano a iosa della minor produzione. Morale di questa "favola" è che lo Stato, in Francia come in Italia, interviene e sempre più interverrà in futuro premiando l'inefficienza produttiva, una cosa che da che mondo è mondo non si era mai vista.
Non ho neppure grandi speranze circa il fatto che la Camera possa interrompere la "marcia trionfale" del DDL 998, anche perché, come dicevo, "il marcio viene da Bruxelles" e a ben vedere deriva dall'adesione della politica europea alle istanze del mondo ambientalistico, che per motivi ideologici sponsorizza da anni l'agricoltura biologica, senza alcuna remora di tipo scientifico circa la reale sostenibilità di tale agricoltura.
Sottolineo anche che quanto abbiamo avuto modo di vedere configura un vero e proprio naufragio culturale, con Senatori palesemente non in grado di discernere fra un approccio ai problemi su base scientifica e uno su base ideologica e che non hanno "consiglieri scientifici" in grado di tradurre loro il linguaggio della scienza. La speranza è che la prossima legislatura possa vedere sugli scranni del Parlamento rappresentanti del popolo più sensibili alle istanze di uno sviluppo tecnologico realmente fondato su presupposti scientifici.
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