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Massimo Gramellini sul Corriere della sera (29/10) definisce "felice mistero" il fulmineo successo mondiale dei Maneskin.
Ci sono infatti decine di cantanti italiani che hanno scritto e cantato pezzi bellissimi, che restano nella memoria di tutti. Ma perfino Vasco Rossi, ricorda Gramellini, "ha sempre fatto fatica a essere ascoltato oltre Chiasso".
Poi arrivano i Maneskin, la cui produzione artistica non è neanche paragonabile, per qualità e quantità, al repertorio di tanti nostri autori, e diventano di colpo star internazionali: addirittura sono stati scelti per aprire il concerto dei Rolling Stones a Las Vegas.
"Che cosa possiedono dunque di così speciale?". A questa domanda nessuno riesce rispondere che ciò accade per le loro canzoni. Oltretutto sono appena arrivati. E allora come nasce questo successo mondiale?
Gramellini stesso fornisce una risposta: "Per usare una parola alla moda, sono fluidi. Damiano, il cantante, è un maschio che si trucca senza perdere virilità. Victoria, la bassista, è una donna che fa la dura senza perdere femminilità. Tutti e quattro appaiono sfuggenti, nitidi eppure sfocati, non incastrabili in una definizione".
Secondo Gramellini, che sottolinea la coincidenza fra la loro "consacrazione planetaria" e la caduta del Ddl Zan nel "retrogrado" parlamento italiano, rappresentano "la normalità per i ragazzi di oggi". O quantomeno la norma che si vuole a loro insegnare.
Dunque, stando a quanto si legge sulla prima pagina del "Corriere", il successo dei Maneskin non è dovuto alle canzoni, ma all'ideologia che essi incarnano e interpretano, alla loro capacità (maggiore degli altri cantanti) di esprimere fisicamente, teatralmente, la nuova normalità, il nuovo canone della "fluidità" a cui bisogna omologarsi.
Da questo punto di vista, il loro, nel 2021, non è certo un messaggio rivoluzionario, di ribellione e disobbedienza al sistema. Ma l'esatto contrario.
Non a caso il loro trionfo è decretato da quella potente industria dello spettacolo che da anni è la chiassosa paladina planetaria di quell'ideologia, sponsorizzata dalla classe dominante.
Pier Paolo Pasolini già nel 1975 affermava che "i diritti civili hanno assunto una colorazione classista" e che su di essi si stava costruendo, un nuovo conformismo, anzi: "la certezza del conformismo".
In effetti quella è oggi l'ideologia dell'élite (la deregulation antropologica è l'altra faccia della deregulation economica).
Però non è ancora diventata senso comune maggioritario fra la gente che ha piuttosto i problemi del lavoro, dello stipendio, del progressivo impoverimento e della perdita dei "diritti sociali".
Eppure è martellante la propaganda - anche nella pubblicità - di quell'ideologia che Marco Rizzo definisce "un'arma di distrazione di massa della macchina capitalista".
Si vuole che le masse interiorizzino il codice "politicamente corretto" che non si accontenta di avere quasi il monopolio della scena, ma ormai detta legge. Non tollera dissenso manifesto. Di fronte ad esso bisogna stare tutti "zitti e buoni".
A sottolineare il clima che si è creato è stato addirittura Benedetto XVI che, in un'intervista concessa prima del 2020 a Peter Seewald per la sua biografia ("Benedetto XVI", Garzanti), alludendo all'uragano "politically correct" che sta stravolgendo l'Occidente, ha usato parole drammatiche: ha parlato addirittura di "dittatura universale di ideologie apparentemente umanistiche, contraddire le quali comporta l'esclusione dal consenso di base della società".
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