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Eccallà, ci mancava solo la dichiarazione senza vergogna in diretta nazionale. Che barba la democrazia. Che barba i partiti che cercano di influenzare il governo. Che schifo i leader che si mettono di traverso sul trionfale cammino di sua santità Mario Draghi. Molto meglio una dittatura, in cui a decidere tutto è Supermario e gli altri si adeguano. Fino ad oggi eravamo quasi certi che molti democraticissimi intellettuali lo sussurrassero solo nei salotti buoni tra una tartina al caviale e l'altra, senza però esporre al grande pubblico la loro preferenza per una dittatura illuminata del premier Draghi. Ora invece Umberto Galimberti ha rotto il velo d'ipocrisia (e di questo occorre almeno dargli merito) ed è arrivato a confessare in diretta tv il disprezzo per i meccanismi della democrazia.
In studio a In Onda si stava discutendo delle incomprensibili norme prodotte dal governo per "arginare" l'avanzata di Omicron. Riuscire a districarsi tra green pass, super green pass, tre tipologie di quarantene, contatti stretti o laschi, prima seconda o terza dose, è oggettivamente impossibile. Di chi è la colpa? Di Speranza, in teoria titolato a gestire la situazione sanitaria? Di Draghi, che guida questo governo "dei migliori"? No, ovviamente. Per Galimberti sono i partiti ad aver creato confusione. "La complicazione - ha detto - nasce dal fatto dal fatto che abbiamo un governo fatto di partiti che si detestano e il povero Draghi ha iniziato a fare delle mediazioni che moltiplicano le diversità dei casi all'interno dei quali si deve intervenire".
Hai capito che orrore? I partiti cercano di interpretare le istanze degli italiani? Non sia mai: è lesa maestà. Dovrebbero starsene zitti e lustrare le scarpe al premier-padrone. "Se è vero che abbiamo un governo di salute pubblica - ha insistito Galimberti - se è vero che siamo in epoca di emergenza, non si può considerare Draghi una sorta di... non dico la parola dittatore, ma quasi? Che decida lui a prescindere dalle bandierine dei vari partiti che vogliono difendere questa o quell'altra categoria, allentando la difesa nei confronti di questo virus".
In studio avrebbero dovuto indignarsi per quanto detto dal professorone. Non l'hanno fatto come non lo fecero con Monti quanto chiese una "informazione meno democratica", ma almeno stavolta si sono degnati di chiedere una precisazione. "Emergenza cosa vuol dire? - ha spiegato Galimberti - Che tutto va avanti come prima o c'è uno che decide? Questo voglio capire. Se siamo in emergenza fino a marzo, ci vorrà uno che decide. Io di Draghi mi fido, penso che non sia un pazzo, penso abbia le capacità per governare questa situazione, quindi lasciamo decidere a lui a prescindere dai pareri discordanti di tutti gli altri partiti. Questo significa emergenza".
A dire il vero, questo significa "dittatura". E in teoria sarebbe una cosuccia contraria alla Costituzione. Ma ormai tra Monti che vuole "dosare dall'alto l'informazione" e Galimberti che sogna di incoronare Draghi imperatore, abbiamo capito una cosa: che in nome della presunta "emergenza", ormai prolungata da tempo immemore, si sta facendo strada l'ipotesi che si possa instaurare davvero l'uomo solo al comando. Senza che nessuno osi alzare il ditino. E pensare che i cronisti radical chic si stracciarono le vesti quando Salvini chiese agli elettori (ripeto: agli elettori!) i "pieni poteri" attraverso le urne. Che fine hanno fatto? Ah sì, lo sappiamo. Sono lì, in piedi, ad applaudire l'ingresso in sala stampa di suo splendore Draghi.
Nota di BastaBugie: Rino Cammilleri nell'articolo seguente dal titolo "Draghi, da 30 anni sempre al posto giusto al momento giusto" racconta la carriera di Mario Draghi, sempre intento a gestire svolte importanti per l'Italia.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 4 gennaio 2022:
«No al clima di terrore sulla variante omicron. La gente sta a casa, ha paura di andare nei negozi perché è stato detto e scritto che se si va fuori si prende la variante omicron e si muore, invece è assolutamente falso. Qui se non ci diamo tutti una regolata, ma soprattutto voi media, l'Italia diventa un Paese povero e sempre di più, fino a quando non diventeremo l'oggetto dello shopping di altri Paesi che sono stati più intelligenti e competenti di noi. Lo sa dove sono in questo momento? In uno dei più bei negozi di Milano, ma è desolatamente vuoto» (A. Zangrillo, primario al San Raffaele, su Notizie.com, 24.12.21).
Ora, non vorremmo essere accusati di complottismo, ma se malgrado tutto ne fossimo accusati, finché non diventa reato (ci manca poco, mi pare), chissenefrega? Ci limiteremo solo a mettere in fila alcune coincidenze storiche che ci paiono significative. Eccole. L'attuale presidente del consiglio, Draghi, è l'ennesimo salvatore della patria che ci viene paracadutato dall'alto senza passare per il vaglio delle elezioni popolari. Il popolo, tuttavia, è contento. Anzi, sono tutti contenti, ma proprio tutti. E questo ci induce ad alzare un sopracciglio perché mai a nessun altro italiano è stato riservato un così corale e sentito applauso dal mondo esterno: Usa, Ue, «mercati», finanza internazionale, «poteri forti» eccetera.
Mai si era visto, per esempio, un capo del governo accolto da una standing ovation dai giornalisti prima ancora di cominciare a parlare in sala stampa («Zuppa di Porro», 23.12.21). Forse perché i giornali ormai boccheggiano e se non sono ancora morti è grazie ai sussidi governativi, negati, invece, ad altre categorie di lavoratori? Lo stesso vale per i giornalisti televisivi, gli uni mantenuti coattivamente dal contribuente e gli altri allineati, per forza di cose, a un partito che sostiene il governo. A pensar male si fa peccato, diceva uno che di politica se ne intendeva avendoci passato la vita e in ruoli apicali. E noi questo peccato lo facciamo volentieri, anche perché è uno dei pochi a non subire sanzione ultraterrena, anzi, è quasi raccomandato dal Vangelo: «siate candidi come colombe ma astuti come serpenti».
E, con candore colombaro, osserviamo che l'attuale capo del governo, in predicato di Quirinale - ma tutti, diconsi tutti, esteri in primis, vogliono che resti dov'è, e anche questo fa riflettere - è dal 1992 che si ritrova, sempre lui, nei luoghi e/o tempi in cui l'Italia è stata, per dirla con Zangrillo, «l'oggetto dello shopping di altri Paesi che sono stati più intelligenti e competenti di noi».
Nel 1992, infatti, era direttore generale del Tesoro, e in tale veste fu anfitrione al summit che si tenne sul panfilo reale inglese Britannia, ove si decisero le famose «privatizzazioni» italiche (c'erano anche Ciampi e Andreatta, che dieci anni prima avevano scisso le sorti di Bankitalia e Tesoro). Veniamo a tempi più recenti. Nel 2011, quando il famigerato «spread» provocò la caduta del governo Berlusconi, e miracolosamente ridiscese in pochi giorni non appena Monti e Fornero promisero «lacrime e sangue» (e mantennero), alla presidenza della Banca centrale europea c'era lui, l'attuale capo del governo italiano.
E c'era sempre lui, nel 2007, alla guida di Bankitalia quando il Monte dei Paschi (oggi alla disperata ricerca di qualcuno che se lo compri) operò la famosa acquisizione di Antonveneta, causa di tutto quel che seguì e che oggi è in mano alle procure di mezza Italia. Non ricordo se Capezzone (ex radicale ora in Forza Italia) o Rizzo (l'unico comunista rimasto che non ha cambiato nome e non si fa dare gli input dalla sinistra americana) in un talkshow osservò che l'operazione bancaria del 2007 avrebbe richiesto quella «vigilanza» che Bankitalia ha tra i suoi compiti. Ma non ha importanza.
In ogni caso è significativo che ci si ritrovi a dover dar ragione a un ex radicale e/o a un comunista duro&puro. Perché, delle due l'una: o ha ragione il complottista o ce l'ha Zangrillo quando parla di «competenza».
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