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Dal 17 aprile 1975 al 7 gennaio 1979, la Cambogia ha conosciuto uno dei più brutali orrori della storia moderna. In nome dell’utopia comunista, Pol Pot, pseudonimo di Saloth Sar, fondatore del Partito comunista cambogiano e organizzatore delle formazioni guerrigliere dei Khmer Rossi, scatenò l’inferno. Un regime sanguinario che mirava allo sterminio di tutto ciò che poteva sembrare ‘borghese’. Due milioni di persone, vennero uccise, moltissime solo perchè sapevano leggere e scrivere, altri perchè portavano gli occhiali e conoscevano lingue straniere. Pol Pot era il ‘Fratello Numero Uno’ del famigerato partito unico Angkar (l’Organizzazione), mentre i khmer assoggettarono il paese ad un progetto di purificazione etnica e rieducazione sociale. In Occidente erano tempi bui e chi provava a denunciare i crimini di Pol Pot veniva insultato e discriminato. Il missionario del PIME (Pontificio Missioni Estere), padre Piero Gheddo, che allora scriveva editoriali su Avvenire e l’Osservatore Romano, denunciò quel regime, ma non venne creduto. L’Unità, quotidiano del partito Comunista lo accusò di essere un agente della CIA (il servizio segreto statunitense) per raccontare bugie sulla rivoluzione comunista di Pol Pot. Livio Caputo, nella primavera del 1976, in qualità di direttore di Epoca, pubblicò il servizio con il titolo Un massacro per la rivoluzione, il primo servizio fotografico che documentava i crimini del regime cambogiano: fu duramente contestato dal comitato di redazione e alla fine ci rimise addirittura il posto. “Per quella sacrosanta rivoluzione - era la tesi dei compagni - non si potevano commettere massacri, al massimo si eliminava qualche traditore, e le immagini che dimostravano il contrario dovevano essere falsi prodotti dalla Cia”. Ha narrato Caputo che “ci vollero diversi anni, e innumerevoli quanto inconfutabili testimonianze, prima che anche i comunisti occidentali si decidessero ad ammettere che Pol Pot era solo un grande criminale che, in nome di un folle progetto di ‘purificazione’ della Cambogia, aveva costruito una mostruosa macchina della morte degna di Hitler e di Stalin”. A raccontare come stavano realmente le cose ci ha pensato la cambogiana Claire Ly, autrice di un libro impressionate, Tornata dall’inferno (Edizione Paoline). Claire Ly è nata in Cambogia, si è laureata in diritto e filosofia, ed è diventata prima insegnante di liceo e poi alta funzionaria del Ministero dell'Educazione. Nel 1975, con due figli, uno in braccio e l’altra in grembo, viene deportata in un campo di lavoro dai Khmer rossi del dittatore Pol Pot. Ed è così che conobbe l’‘inferno’: suo padre e suo marito vennero uccisi, lei fu costretta a lavorare in condizioni disumane nei campi di lavoro, nelle risaie, assistette ad esecuzioni sommarie, all’indottrinamento dei bambini. La malnutrizione insieme all’ideologia mieteva vittime, i khmer davano la caccia ai borghesi, agli intellettuali e a tutti coloro che sapevano leggere e scrivere. Ha raccontato la Ly che "l’ideologia dei khmer rossi era la costruzione di una Cambogia interamente khmer, libera da ogni influenza esterna. Per realizzare questa ideologia utopistica, essi hanno cominciato con l'eliminazione di tutti coloro che potevano opporre una resistenza: in tal modo i primi a essere nel mirino erano gli intellettuali. Tutte le città sono state svuotate dalla loro popolazione. L’Angkar (il governo dei khmer rossi) considerava la popolazione della città come “una popolazione nuova” contaminata dalla civilizzazione occidentale. Questa gente doveva venir ‘purificata’ attraverso il trasferimento e i lavori forzati nelle risaie allo scopo di diventare dei veri Khmer. Per sopravvivere a questo ingranaggio della violenza, io dovevo nascondere la mia vera identità: prima del loro arrivo, io insegnavo filosofia nella capitale e avevo la carica di Direttrice tecnica dell’Istituto di traduzione dei manuali scolastici in seno al Ministero dell’Educazione nazionale della Cambogia. In tal modo facevo parte di questo ‘popolo impuro’. Il solo mezzo per sopravvivere era l’obbedienza ad Angkar. Ogni tentativo di resistenza veniva selvaggiamente eliminato. Io obbedivo, lavoravo, facevo tutto ciò che i Khmer rossi mi chiedevano di fare: costruzioni di dighe, di canali d’irrigazione, lavoro nelle risaie. Tutto in un clima di terrore e di miseria. Ma come obbedire a dei dittatori senza perdere se stessi?". Di fronte a tanto dolore e sofferenze, il suo credo buddista entrò in crisi. Per non impazzire si affidò quindi al "Dio degli Occidentali” che aveva conosciuto quando per studiare francese aveva frequentato una scuola cattolica gestita da suore. Non conosceva bene questo Dio, ma il Signore l’ha aiutata, ha salvato la vita a suo figlio e anche a suo fratello. Nel 1979, alla caduta del regime di Pol Pot, Claire Ly prese la strada dei profughi verso la Thailandia e da qui nel 1980 emigrò in Francia dove tuttora vive e lavora. È in Francia che cominciò a frequentare i cattolici, ha letto e studiato gli scritti di Giovanni Paolo II, finché un giorno entrò in una chiesa. Lì assistette a una celebrazione eucaristica, si commosse e si convertì. Così ha raccontato la sua conversione: “Non è facile spiegarvi questa certezza spirituale che mi ha indotto a chiedere il battesimo. Posso dire semplicemente che questa certezza, vissuta al momento di una celebrazione eucaristica è il punto di arrivo di un lungo cammino. Dopo aver vissuto, durante i quattro anni del campo di Pol Pot, con la sensazione di essere accompagnata dal Dio degli Occidentali, ho incontrato sul mio cammino il Vangelo (…). Un incontro che mi ha aperto un nuovo itinerario, facendomi conoscere un nuovo maestro: Gesù di Nazareth. In quella tappa del mio itinerario, provavo molta ammirazione per questo uomo, ma occultavo completamente la sua divinità. La mia educazione buddista mi ha permesso di cogliere l'umanità del Cristo più facilmente della sua divinità (…). È stato solo dopo un anno di frequentazione della vita e della parola di Gesù, attraverso le narrazioni e le parabole evangeliche che ho avuto la curiosità di assistere alla Messa. Durante questa celebrazione eucaristica, ho realizzato che la Gloria di Dio non diminuisce in alcun modo la grandezza dell’uomo". Ha scritto nel suo libro: "Non ho scelto il cristianesimo per trovare un’etica o una morale, ma per trovare il volto di Gesù Cristo, la cui chiamata e la cui semplicità hanno toccato il mio cuore".
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