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Che poi non ci voleva un genio a capire che questo Mondiale, sul tema dei diritti, sarebbe stato un gran casino. Se insegui il denaro (ben venga, per carità) del Qatar è chiaro che sarai costretto a turarti il naso. Non ci sarebbe nulla di strano, se non fosse che negli ultimi anni l'intero mondo del pallone ha puntato tutto (o quasi) sulla campagne di non discriminazione. Fai fatica a presentarti come paladino del "respect" e dei diritti Lgbtq+ se poi sei costretto a scendere a patti con le regole un tantino stringenti dei qatarioti.
L'ultima figura barbina della Fifa, dopo l'imbarazzante intervista di Gianni Infantino e le polemiche sui 6.500 lavoratori migranti morti per costruire gli stadi, ruota attorno alla fascia da capitano. Alcune federazioni avevano espresso il desiderio di indossare una fascia diversa, diciamo arcobaleno con la scritta One Love, in sostegno ai diritti omosessuali. La Fifa però si è risentita e ha minacciato ammonizioni a gogo per chi in campo avesse indossato una fascia diversa da quella di ordinanza. "Siamo a favore dei diritti Lgbt - sostiene una nota Fifa - e sosteniamo la campagna One Love. Ma i capitani da regolamento devono vestire la fascia fornita dalla Fifa".
In sintesi: la campagna "no discrimination" si farà, però la Fifa aveva deciso di combattere razzismo e omofobia solo dai quarti di finale in poi, guarda caso (ma magari siamo maligni noi) quando al 99% la nazionale di calcio del Qatar sarebbe già stata eliminata. Le federazioni nazionali erano disposte a pagare anche una multa salata, ma la minaccia di ammonire i propri capitani - rischiando la squalifica per diffida - ha fatto fare loro marcia indietro. Con tanto di comunicato indignato. "La Fifa è stata molto chiara, imporrà delle sanzioni sportive se i nostri capitani indosseranno in campo quella fascia - si legge nella nota di Inghilterra, Olanda, Belgio, Danimarca, Germania, Svizzera e Galles - Come Federazioni, non possiamo mettere i nostri giocatori nella posizione in cui rischiano dei cartellini, per cui abbiamo chiesto ai capitani di non provare a indossare quelle fasce durante le partite dei Mondiali. Eravamo pronti a pagare le multe che normalmente si applicano quando si violano le norme legate alla tenuta di gioco ma non possiamo permettere che i nostri giocatori rischino di essere ammoniti o addirittura costretti a lasciare il campo. Siamo molto frustrati per una decisione della Fifa che crediamo non abbia precedenti".
A quanto pare la Fifa era informata sin da settembre della decisione pro Lgbt delle federazioni. Ma non ha fatto passi indietro, né ha mai risposto alle sollecitazioni, fino a stamattina. Quando di fronte al caos e alle polemiche globali, Infantino ha deciso di fare una mezza marcia indietro. Mezza. I capitani delle 32 squadre dei Mondiali 2022 in Qatar potranno indossare la fascia "No Discrimination", campagna che partirà sin da subito e non dai quarti di finale. "Ho parlato di questo argomento con la massima leadership del paese", ha detto il presidente della Fifa. "Hanno confermato e posso confermare che tutti sono i benvenuti. Se qualcuno dice il contrario, beh, non è l'opinione del Paese e certamente non è l'opinione della Fifa". Piccolo problema: la fascia "no discrimination" non è esattamente la fascia "One Love". La Fifa dice di essere "un'organizzazione inclusiva che vuole mettere il calcio al servizio della società sostenendo cause buone e legittime, ma all'interno dei regolamenti". E i regolamenti prevedono che i capitani devono indossare le fasce da capitano fornite dalla Fifa. Sarà. Ma che figura barbina.
Nota di BastaBugie: Souad Sbai nell'articolo seguente dal titolo "Mondiali in Qatar, l'ipocrisia senza frontiere di Infantino" parla del tentativo, non riuscito, di salvarsi la faccia del presidente della FIFA.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 21 novembre 2022:
La partita d'esordio giocata ieri tra Qatar ed Ecuador, non deve far dimenticare le polemiche scatenate dalle dichiarazioni del presidente della FIFA, Gianni Infantino, alla vigilia dei Mondiali. L'ipocrisia mostrata da Infantino è davvero senza frontiere. "Oggi mi sento arabo, gay e migrante", ha affermato nel tentativo di salvarsi la faccia (non certo l'anima) con un "coming out" degno della più demagogica retorica "progressista", davanti alle telecamere schierate nella sala stampa del Virtual Stadium 1 di Doha. Di quanti morti, feriti e violazioni di diritti umani quello stadio sia stato testimone Infantino non lo ha detto, ma ha pensato che fingersi solidale verso i "migranti" potesse bastare a far dimenticare che il primo responsabile di quanto accaduto a migliaia di lavoratori stranieri, asiatici in particolar modo, impiegati come schiavi nella costruzione delle infrastrutture necessarie ad ospitare la massima competizione calcistica, sia proprio lui.
Per anni, denunce basate su prove inconfutabili sono piovute da ogni cielo sull'organizzazione della Coppa, comprese le Nazioni Unite, e persino il Qatar, introducendo un programma di riforme rimasto naturalmente sulla carta, ha dovuto ammettere che in effetti qualche problemino nel trattamento dei "migranti" c'era, eccome se c'era. Ma il business must go on, deve andare avanti.
Gli orari e i carichi inumani, a dir poco insostenibili, erano infatti necessari a recuperare ritardi e inefficienze, in modo da terminare i lavori nei cantieri in tempo per l'inizio dei Mondiali. Il poco cibo era utile a risparmiare degli spiccioli a fronte di spese ultramilionarie anche in forma di tangenti e loschi finanziamenti, versati dagli emiri del clan Al Thani per ottenere (e mantenere) l'assegnazione della Coppa come paese ospitante. Per i dettagli, chiedere alla magistratura francese e a svariate inchieste giornalistiche, che hanno svelato gli imbrogli e le cointeressenze dell'ex duo Platini- Blatter, con quest'ultimo che ha recentemente scaricato ogni colpa sull'ex presidente UEFA, ammettendo l'esistenza d'irregolarità: "La Fifa non era corrotta. Le persone nella Fifa lo erano". Tra queste anche Infantino? È lecito far valere nei suoi confronti la logica del non poteva non sapere, in quanto stretto collaboratore di Platini all'UEFA all'epoca dei misfatti?
Di sicuro, Infantino si è dimostrato un resoluto e irremovibile continuatore dei piani stabiliti in precedenza, che ne fosse a conoscenza o meno. Il Mondiale viene prima e sopra di tutto. Suona pertanto falso e patetico il suo dispiacersi della vigilia, ad obiettivo finalmente conseguito sulla pelle dei "migranti", di cui sottolinea di ricordare "molto bene… le condizioni di lavoro… e come venivano trattati", riferendosi ai genitori immigrati dall'Italia alla Svizzera. Ancor peggio, allora. Perché pur avendo la consapevolezza delle terribili condizioni igieniche riservate ai "migranti" rinchiusi dei compound, ben lontane da quelle degli hotel messi a disposizioni a caro prezzo dagli amici "emiri" di Doha, si è sempre mostrato sordo alle richieste di cambiare il paese incaricato di ospitare la Coppa.
E che dire dei miseri salari non pagati per mesi e dei passaporti confiscati per impedire che potessero scappare? Vergogna, solo vergogna. Un sentimento da cui Infantino non si lascia sfiorare nemmeno minimamente, visto che si è permesso persino di dare lezioni di "accoglienza" ai paesi europei, criticati per la condotta ritenuta poco umanitaria nella crisi infinita legata ai flussi migratori clandestini.
Immedesimandosi poi con la "comunità" Lgbtq+, specie a seguito delle inopinate e sciocche dichiarazioni del delegato del regime qatarino per i Mondiali, Khalid Salman, Infantino ha poi voluto intercettare un altro trend così da sembrare politicamente corretto, dimenticandosi però dei diritti delle donne. Una semplice dimenticanza? Chissà, in ogni caso per Infantino è stato forse meglio non ricordare alla luce di quanto accaduto nel febbraio 2021, quando lo stesso presidente della FIFA, durante la cerimonia di premiazione del Mondiale per club di calcio svoltosi guardo caso a proprio Doha, sussurrò alle orecchie di due malcapitate donne arbitro di non fermarsi a salutare lo "sceicco" Joaan bin Hamad Al Thani, presidente del Comitato olimpico del Qatar e cugino dell'emiro Tamim.
L'episodio ci riporta direttamente al sostegno del Qatar al fondamentalismo dei Fratelli Musulmani, campioni del velo obbligatorio e identitario, nonché ispiratori del fenomeno jihadista (da Al Qaeda in poi) e principali sobillatori della cosiddetta Primavera Araba. Oltre a non volersi immedesimare nelle donne, è quindi comprensibile che Infantino non voglia farlo neppure con le vittime del terrorismo e delle guerre civili in Siria e Libia.
Inoltre, nella sua smielata intervista, non è certo un caso che abbia ignorato la rivolta in corso da settimane in Iran, stato canaglia vicino e sodale del Qatar, scatenata dall'uccisione della 22enne Mahsa Amini, che il velo non lo portava "correttamente". Da quel dì, di giovani donne uccise dal regime degli ayatollah e dei pasdaran ce ne sono state altre, gli arresti di manifestanti e le detenzioni arbitrarie si contano a migliaia, la macchina delle condanne a morte lavora incessantemente. Per Infantino, meglio dunque guardare dall'altra parte, poiché escludere la nazionale iraniana dai Mondiali, come invocato a più riprese e sarebbe stato giusto, avrebbe fatto storcere il naso agli emiri del clan Al Thani.
Al di là degli aspetti sportivi, priorità va data a quelli morali. Da questo punto di vista, per l'Italia va considerato un bene non partecipare a quella che passerà alla storia come la Coppa del Mondo della corruzione, del terrorismo e delle violazioni dei diritti umani.
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