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Onlyfans popolare e idolatrato, come se non ci fosse niente di male. È il ritratto che ormai vediamo spuntare fuori dalla stampa mainstream sul social sempre più - ahinoi - popolare, anche tra i giovanissimi. Nato nel 2016, infatti, permette a chiunque di mettere on line le proprie foto o performance sessuali, e di trarne profitto attraverso il pagamento dei "fans".
Secondo un articolo di Tempi - a firma di Caterina Giojelli - che dà ampie prove di quel che afferma, certa stampa raffinata e borghese, non solo non denuncia un fenomeno triste e bieco di palese "mercificazione del proprio corpo", ma addirittura sembra promuoverlo.
«C'è una contropartita nel presentarci questo PornHub della porta accanto quale impresa autodeterminata e perfino esemplare sul piano dell'empowerment un giorno sì, e l'altro pure?». La Stampa e Il Corriere della Sera, tanto per non restare nel vago, ma anche Libero e Fanpage, hanno già proposto vari articoli e soprattutto delle incaute interviste in cui parecchi soggetti tirati fuori dall'anonimato dicono di aver svoltato nella vita, nella carriera e nei soldi. E questo dopo che hanno iniziato a spogliarsi su Onlyfans. Moltiplicando gli introiti per 10 o divenendo milionari.
E purtroppo, nella logica perversa del consumismo senza freni, questo pare un ottimo argomento per mettersi nelle mani degli "impresari del porno". Anzi, no. Perché il nuovo dogma è che "on line non è prostituzione". E cosa sarebbe allora, porno etico? E so lo facesse nostra figlia (o nostra madre) per arrotondare?
Il Fatto quotidiano pare poi una specie di promoter di Onyfans, secondo Caterina Giojelli. Nel solo mese di novembre il giornale, che un tempo voleva essere contro corrente e lontano dai poteri forti, ha dedicato 8 articoli al sito a luci rosse.
E sempre con la retorica anti-moralista - per cui se c'è il guadagno e la scelta è libera di chi si spoglia e di chi ne fruisce - allora tutto è a posto. Ma è proprio così? Eppure, come insegna la storia, anche lo schiavo non sempre era contrario alla propria schiavitù, anzi…
Cari signori della stampa ma vi rendete conto del messaggio che date al mondo intero e in particolare ai più giovani? Perché impegnarsi al liceo e all'università, perseguire ideali di ricerca scientifica, di formazione medica, giuridica o filosofica, se magari, svestendosi davanti a una telecamera o a un telefonino, si fatica di meno e si guadagna di più?
Titoli come questi - «Da infermiera in terapia intensiva a star di Onlyfans: "Così sono diventata milionaria a 34 anni» / «Insegnante lascia la scuola e sbarca su OnlyFans: "Ho guadagnato un milione in tre anni, non tornerei mai in cattedra» - sono fatti solo per creare confusione, giustificare perversioni, legittimare il narcisismo e il culto del corpo. A danno della parte riflessiva, intellettuale e morale della persona.
Per una volta è stata la laicissima Repubblica a lanciare l'allarme. Descrivendo un «quadro allarmante», a proposito del «pericolo Onlyfans». Su cui perfino ragazzine minorenni, oltre a persone di tutte le età, si «scambiavano video osé e si accordavano per fare sesso a pagamento».
Le perversioni dilagano sul web e nella vita reale: si pensi agli stupri, spesso ripresi e diffusi sui social, o allo scambio infame di materiale pedo-pornografico, o - peggio ancora - al cosiddetto Revenge Porn.
E pare assurdo non vedere il legame tra tutte queste devianze con una subcultura del "soft porn", apparentemente pulito e trasparente. Lodare chi usa il proprio corpo come strumento di "merchandising" porta a una funesta "iper-sessualizzazione" della società, che alla fine potrà solo renderci peggiori. Più vuoti, più egoisti, più soli davanti a uno schermo-idolo, e prontissimi a guardare agli altri come potenziali "oggetti da comprare".
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