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La deriva dell'ex Pci, ora Pd (dopo aver cambiato vari nomi e in attesa del prossimo), dall'obbedienza moscovita a quella dem americana è stata variamente attribuita all'inveterata abitudine di ricevere input da centrali esterne. Così, rimasti orfani del Politburo, si sono rivolti a Obama, Biden, Pelosi, Ocasio Cortes, Harris e compagnia politicamente corretta. E da difensori degli operai, si sono ritrovati ad acclamare la Ue (in cui molti vedono una copia edulcorata dell'Urss), i «mercati» e, di fatto, la grande finanza internazionale, di cui il politicamente corretto è l'aspetto culturale. Da qui il tonfo alle ultime elezioni.
Ma è davvero una lettura corretta? I dem nostrani hanno davvero operato una svolta a «u» dopo il crollo dei Muri, o sono sempre stati così? Se lo è chiesto - e si è risposto - lo storico Roberto De Mattei andando a ripescare certe sue analisi degli anni Settanta, epoca in cui i comunisti italiani toccarono percentuali mai più eguagliate e furono a un passo dall'andare al governo. Le ha raccolte in un libro che è realmente istruttivo: I padrini dell'Italia rossa (Solfanelli, pp. 110, €. 10). Nel quale si documenta come l'incontro tra i comunisti e il super capitalismo risale proprio a quegli anni, «per l'instaurazione di un governo mondiale dell'umanità da attuarsi attraverso la centralizzazione politica e organizzativa, la concentrazione monopolistica delle industrie, il controllo dei mezzi di comunicazione, la massificazione forzata, la completa socializzazione della vita umana».
Zbigniew Brzezinski, membro di spicco del Council on Foreign Relations («il cuore e il presidio dell'establishment americano») e direttore della Commissione Trilaterale (sorta nel 1973 su iniziativa di David Rockefeller), dopo avere incontrato Sergio Segre, ministro degli esteri del Pci, dichiarò: «Sono disposto a credere che i comunisti italiani siano moderati e revisionisti. Infatti lo sono» («L'Espresso» del 22 dicembre 1974). Nello stesso anno a «Panorama» Giovanni Agnelli si confessava ammirato dal sovranazionalismo, cioè di un governo mondiale illuminato. In fondo, diceva, «le grandi società multinazionali, la Chiesa cattolica e i partiti comunisti dimostrano che il sovranazionalsimo non è un mito, ma è una realtà». E infatti, quei settanta-ottanta potenti che si ritrovavano ogni anno nelle riunioni del famoso Bilderberg Club, che ci andavano a fare? Per i curiosi, nel libro è riportato l'elenco dettagliato dei partecipanti del 1975, anno in cui la riunione, a porte chiuse, si tenne in Turchia. Anche l'esperienza dei governi di centrosinistra italiani ebbe padrini remoti oltreatlantico, mentre gli Agnelli ricercavano «Un dialogo sempre più ristretto con il Pci, la sola forza politica che può disciplinare il sindacato». Di necessità poi si fa virtù e l'appetito vien mangiando.
De Mattei esordisce col dire: «Guardando retrospettivamente la storia d'Italia degli ultimi cinquant'anni si resta colpiti dal numero di intrighi ancora avvolti nel mistero e dalla presenza di occulti "padrini" che hanno manovrato dietro le quinte per condizionare gli eventi. Il decennio 1970-80 costituisce uno dei periodi più densi di questa storia intricata». Complottismo? Perché no? In fondo, se all'intera storia umana toglieste i complotti non resterebbe quasi niente. Insomma, c'è chi lavora perché il comando torni ad essere di pochi travestiti da «tutti». Possiamo farci qualcosa? Be', intanto dirlo...
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