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L'IPOCRISIA DELLA BARBIE CON SINDROME DI DOWN
La Barbie con la trisomia 21 è un'operazione puramente commerciale, dove tutto è bello e politicamente correttissimo... cioè disumano
di Giuliano Guzzo

Dopo la prima con fisicità "curvy" e quella in sedia a rotelle, Barbie - la bambola più fashion e chiacchierata da 64 anni a questa parte - ha deciso di continuare la propria evoluzione presentandosi ora... con la sindrome di Down. Si tratta di una bambola, come fa sapere lo stesso sito dell'azienda Mattel, realizzata in collaborazione con la National Down Syndrome Society. Secondo quanto riportano alcune fonti, l'idea è infatti stata accolta con favore dagli enti benefici del Paese e internazionali.
Carol Boys, direttore generale dell'associazione britannica della sindrome di Down, ha dichiarato: «Le bambine della nostra comunità potranno giocare con una bambola che le rappresenta». Anche Ellie Goldstein, modella inglese con la trisomia 21 che è apparsa in una campagna pubblicitaria proprio con la nuova bambola, ha dichiarato di essere «davvero felicissima» di vedere questa nuova versione inclusiva. «La diversità è importante per me», ha spiegato Goldstein, «perché la gente ha bisogno di vedere più persone come me nel mondo e non di tenerle nascoste».
Tutto bene, dunque? Non esattamente. Come ha sottolineato infatti Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la Natalità e genitore di un bambino con la sindrome di Down, l'entusiasmo per queste iniziative cela sempre una certa ipocrisia. «Tutto bello, tutto politicamente correttissimo», sono state le sue parole, «se non fosse che in molti Paesi occidentali questi bambini non vengono fatti più nascere. In Italia - ed è uno dei Paesi più accoglienti da questo punto di vista - il 53% viene eliminato dopo la diagnosi prenatale. E allora mi domando: che senso ha fare una Barbie con la sindrome di Down se poi eliminiamo i bambini con la sindrome di Down?». Un bambino con Sindrome di Down «ha bisogno di amici come lui, non di giocattoli con le sue fattezze».
Purtroppo queste parole riflettono un'amara verità: i bambini con sindrome di Down, gli stessi che oggi si vedono nei servizi ai telegiornali e nelle immagini dei siti internet, sono da anni brutalmente decimati con l'aborto. Già nel dicembre 2020, a questo proposito, The Atlantic pubblicava un lungo servizio dal titolo inquietante: «Gli ultimi figli della Sindrome di Down». In quell'articolo, si ricordava che «i test prenatali stanno cambiando chi nasce e chi no» e «questo è solo l'inizio». Il fatto è che, al di là dei test prenatali, ci sono pressioni fortissime anche in ambito sanitario perché questi bambini siano abortiti. Ad Emma Mellor, una donna in dolce attesa di una bimba con la trisomia 21 - mamma la cui testimonianza è stata raccolta dalla Bbc - i dottori hanno proposto l'aborto. E non una, ma addirittura 15 volte. «Anche se avevamo chiarito che non era una opzione per noi», ricorda la Mellor, «sembravano davvero insistere».
Ora, quello di questa mamma è forse un caso isolato? Davvero dietro gli aborti dei bambini con sindrome di Down sono solo il frutto di scelte genitoriali? Il dubbio viene. Quello che è sicuro è che gli aborti di questi bimbi sono dilaganti. Negli Usa - secondo una pubblicazione uscita su Prenatal Diagnosis oltre dieci anni fa, e quindi oggi probabilmente superata - viene abortito il 67% dei nascituri con questa Sindrome, percentuale che sale ulteriormente tra le madri con più alti livelli d'istruzione: e in Europa il trend è così se non peggiore. Quindi, che senso ha fare perfino una bambola che ha le sembianze di bambini che, di fatto, vengono eliminati a migliaia prima della nascita? Come non si può non ritenere tutto ciò assai ipocrita?
Una nota di critica, infine, va anche alla Mattel. Che già oltre 20 anni fa, lo si ricordava, aveva fatto debuttare una Barbie in sedia a rotelle. Un progetto senza dubbio molto valido, che però risulta essere stato messo da parte, in favore di altri e ben più discutibili prodotti, come bambole queer e gay. Ora, ciascuna azienda è libera di scegliere le linee di prodotti che preferisce, ci mancherebbe. Però questa svolta Lgbt, assai criticabile se si pensa che in realtà i veri discriminati in questa società sono - e restano - le persone diversamente abili, contribuisce ulteriormente a spegnere l'entusiasmo per la Barbie con la trisomia 21. Che ha tutto il sapore, a questo punto, di un'operazione puramente commerciale, dove tutto è bello, tutto è «politicamente correttissimo».

 
Titolo originale: Barbie con Sindrome di Down. Integrazione o ipocrisia?
Fonte: Provita & Famiglia, 2 maggio 2023