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Un'indagine condotta dal Wall Street Journal con le università di Stanford e Amherst ha fatto emergere un dato piuttosto inquietante legato ad Instagram. Questo social avrebbe consentito agli utenti di cercare hashtag relativi ad abusi sessuali su minori, tramite termini espliciti come #pedowhore, #preteensex, #pedobait (già rimossi) utili a mettersi in contatto con profili destinati esplicitamente alla vendita di contenuti pedopornografici: da video di autolesionismo alle foto di atti sessuali con animali, fino alla possibilità di incontrare il minore dal vivo: tutto a scopo di lucro. Non è tutto.
I ricercatori che hanno partecipato all'indagine hanno notato che, dopo avere visionato solo uno dei profili appartenenti alla rete, l'algoritmo di Instagram ne ha immediatamente consigliati di nuovi, inclusi gli account che si occupano, appunto, della compravendita di contenuti illegali. Da parte sua Meta, la società di Mark Zuckerberg, contattata dal giornale ha risposto di aver «istituito una task force interna per indagare su questi risultati e risolvere immediatamente il problema». In effetti sarebbero stati disabilitati più di 490.000 account che violavano le politiche sulla sicurezza dei bambini, lo scorso gennaio e sarebbero stati bloccati più di 29.000 dispositivi, tra il 27 maggio e il 2 giugno.
Misure tuttavia non sufficienti, secondo don Fortunato Di Noto, fondatore dell'Associazione Meter che al Timone dice: «Le piattaforme se non vengono, moderate, controllate e filtrate diventano i luoghi principe per l'adescamento e l'abuso dei minori e il problema è che poi l'online diventa reale». Una contraddizione forte, inoltre don Fortunato, la evidenzia in tutta questa storia: «Io non capisco» - dice - «tutti questi colossi che hanno economia, risorse e potenzialità, come non affrontino in maniera seria queste problematiche che sono delle emergenze globali». La superficialità nel confrontarsi con il problema della pedofilia online, secondo don Di Noto, consiste nel fatto che ci si limiti a rimuovere i contenuti, mentre bisogna «inoltrare alle forze dell'ordine l'identificazione di chi immette questo materiale».
«Diversamente non si risolve nulla perché» - non ha dubbi don Fortunato - «rimuovere non significa risolvere, in quanto non significa contrastare i divulgatori non solo delle immagini gratuite ma anche di chi con questo materiale ci crea un business». Il motivo è semplice, aggiunge don Fortunato «se non verranno identificati dalla polizia continueranno a fare quello che hanno sempre fatto». «Anzi» - sottolinea - «come osservatorio mondiale di Meter noi siamo più che convinti che se non si interviene capillarmente nei confronti di questi criminali non si risolve il problema. Tant'è che come Meter abbiamo prodotto più di 100.000 segnalazioni alle polizie. Tuttavia poi la segnalazione va approfondita, da qualunque parte del mondo provenga».
Come mai allora il problema non viene ancora davvero preso di petto? Don Fortunato non ha dubbi: «Mancano gli investimenti, la buona volontà, la collaborazione internazionale e il senso di responsabilità da parte dei colossi del web che, spesso non traducono la rimozione dei contenuti in segnalazioni concrete, con i nomi degli utenti che diffondono il materiale pedopornografico».
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