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BIDEN VUOLE CENSURARE I DISCORSI ONLINE PROLIFE E PROFAMILY
La scusa è che criticare l'aborto è una forma di violenza contro le donne, equiparata a tortura, trattamenti crudeli, inumani e degradanti: è il trionfo dell'antilingua
di Mauro Faverzani

«Non nominare il nome di Dio invano» è il secondo Comandamento. Come specifica il Catechismo di san Pio X, esso proibisce «di nominare il nome di Dio senza rispetto», concetto ripreso sostanzialmente identico anche nel vigente Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2142, dove si precisa come il nome del Signore sia «santo». Ed ancora, al n. 2146, il nuovo Catechismo entra ancor più nello specifico, precisando come il secondo Comandamento proibisca «l'abuso del nome di Dio, cioè ogni uso sconveniente del nome di Dio, di Gesù Cristo, della Vergine Maria e di tutti i santi».
Allora decisamente «sconveniente» è tirare in ballo l'«Anno del Signore 2023» in un contesto tutto teso a promuovere l'aborto ed a distruggere la famiglia, avvelenandola con l'ideologia gender. Lo ha fatto - niente meno - Kamala Harris, vicepresidente degli Stati Uniti, in un'intervista rilasciata a Teen Vogue assieme a Colleen McNicholas di Planned Parenthood, per "spiegare" quali e quanti "sforzi" abbiano compiuto ed ancora intendano compiere, per far tornare legale l'aborto senza limiti in tutti e 50 gli Stati della Federazione, definendolo una causa giusta e morale, da autorizzare dal concepimento sino al momento della nascita del bimbo ovvero sempre.
«È una vergogna che nell'Anno del Signore 2023 si cerchi di farci tornare indietro», ha dichiarato il vicepresidente americano, promuovendo il Women's Health Protection Act ovvero la legge sulla protezione della salute delle donne, che, in realtà, è stata ribattezzata dagli ambienti pro-life come Abortion Without Limits Until Birth Act ovvero legge sull'aborto senza limiti fino alla nascita, per porre fine ai divieti sulla selezione del sesso e sul finanziamento pubblico agli aborti, ma ponendo anche a rischio le tutele per l'obiezione di coscienza dei medici. Il Signore, però, in tutto questo, non c'entra proprio nulla.

PER PLANNED PARENTHOOD QUALSIASI MOTIVO PER ABORTIRE E' VALIDO
Si noti, accanto a Harris durante l'intervista, la presenza di Colleen McNicholas, un'abortista senza se e senza ma, senza scrupoli né ripensamenti: è direttore sanitario di Planned Parenthood per l'area di St. Louis e nel Missouri sud-occidentale. Nel 2019 dichiarò all'agenzia AP come, a suo giudizio, «qualsiasi motivo per abortire fosse un motivo valido», compresa la selezione del sesso e la sindrome di Down. Tutto andrebbe bene, pur di provocare un'ecatombe demografica. Ed ora, prevedibilmente, a scatenare la sua furia, è stata la decisione della Corte Suprema americana di rovesciare la sentenza Roe vs Wade, eliminando il diritto costituzionale federale all'aborto.
Oggi sono 15 gli Stati americani, che proteggono i bambini non-nati, vietando l'aborto, ed altri, nelle sedi dei tribunali, stanno cercando di fare lo stesso. Ma l'orizzonte, che si ripromettono di soggiogare con accordi, norme, vincoli, non solo Harris e McNicholas, né solo il Partito democratico statunitense, bensì l'intera amministrazione Biden non è questo, troppo ristretto. Loro puntano ormai ad imporre la loro cultura di morte al mondo intero, calpestando anche la coscienza di chi non fosse d'accordo, invadendo e prevaricando ambiti ed aree di competenza assolutamente estranei alle loro naturali sfere d'influenza.
Un esempio? L'amministrazione Biden risulta in prima fila negli sforzi attuati per censurare ovunque sul pianeta qualsiasi, pur timida opinione pro-life e pro-family, servendosi di un processo di sviluppo totalitario di standard digitali, finalizzato a monitorare, moderare ed azzerare i discorsi online ritenuti "sgraditi". Tutto questo, ovviamente, col pretesto di voler contrastare la «violenza di genere facilitata dalla tecnologia», riscuotendo in ciò lo sprovveduto sostegno di oltre una dozzina di Paesi ignavi. Se tale linea passasse, governi e privati verrebbero costretti a cancellare qualsiasi critica all'ideologia gender, bollandola come «discorso d'odio». Qualsiasi difesa della vita e della famiglia verrebbe a questo punto cancellata dal web. Non solo: algoritmi automatizzati ed intelligenza artificiale costringerebbero le piattaforme online e i provider ad imporre ovunque ed a chiunque anche i mantra del femminismo universale.
Tale progetto è stato lanciato ufficialmente dal Dipartimento di Stato americano, per la prima volta, nel 2022 al Democracy Summit, in collaborazione con la Danimarca. L'Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani specifica come anche «la negazione dell'accesso all'aborto sia stata identificata come una forma di violenza di genere contro le donne», equivalendo «a tortura e/o a trattamenti crudeli, inumani e degradanti»: incredibile, l'antilingua scatenata pretende di render disumano il tentativo di salvare da morte certa e procurata ovvero dall'aborto il bimbo nel grembo materno. Tutto questo verrà finanziato e promosso mediante una «programmazione multi-stakeholder, incentrata sui sopravvissuti e basata sui [cosiddetti] diritti».

SI CENSURA IN NOME DELLA VIOLENZA DI GENERE
Ma come imporre tutto questo al mondo e trasformare il desiderio di una lobby in un'imposizione globale, collettiva ed universale? Semplice, adottando un accordo in sede Onu, accordo che ha già anche un nome, Patto Mondiale Digitale, ed una data: dovrebbe infatti venire approvato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel settembre 2024. Google, Microsoft, Meta ed altri grandi nomi della tecnologia online starebbero mettendo a punto, con i governi conniventi, i parametri necessari per applicare la normativa liberticida e vincolarvi tutti.
Già un primo tentativo in tal senso era stato attuato dall'amministrazione Biden, quando, all'inizio di quest'anno, chiese, nella cornice di un altro accordo, quello sull'educazione delle donne raggiunto in sede di Commissione delle Nazioni Unite, di consentire ai governi la facoltà di costringere social media e piattaforme multimediali a censurare e moderare i contenuti in base alla loro potenziale «violenza di genere», infischiandosene di quanto ciò fosse una netta violazione del Primo Emendamento della Costituzione americana.
Quel primo assalto è fallito o, quanto meno, ha subìto una battuta d'arresto al vertice del G7 svoltosi il mese scorso, per cui ora l'amministrazione Biden ci riprova, assieme ad altri governi occidentali, decisi anzi, pervicacemente, a «raddoppiare gli sforzi», per portare a casa il risultato. Sconcertante anche solo il pensare come, in un contesto internazionale delicato quale quello attuale, contesto in cui le emergenze - quelle vere - sono evidentemente altre, l'amministrazione degli Stati Uniti d'America trovi tempo, risorse, capitali e mezzi per combattere una battaglia sfacciatamente ideologica ed imporre a colpi di accordi e norme, mai volute né votate dai cittadini, bensì adottate nei grigi uffici delle Nazioni Unite, un nuovo, pericolosissimo totalitarismo, che di democratico non ha e non intende avere proprio nulla. Sulla pelle dei bimbi non nati e delle famiglie di tutto il mondo. Un atteggiamento vergognoso e tale da gridare vendetta al cospetto di Dio.

 
Titolo originale: L'attacco globale dell'amministrazione Biden a vita e famiglia
Fonte: Radio Roma Libera, 12 giugno 2023