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Questo è un momento di grazia; noi ci troviamo riuniti attorno all'altare del Signore come figli che aspettano dal padre la loro porzione di cibo. E il Signore ce la dispensa con puntualità, perché sa che senza il suo nutrimento nessuno di noi riesce a sopravvivere, senza l'alimento della sua parola nessuno ha più motivi per continuare a sperare, senza il pane sostanzioso della sua verità nessuno di noi si regge in questo faticoso pellegrinaggio della vita. Ed è un momento di gioia, perché poche cose sono belle e dolci come il ritrovarsi insieme dei fratelli che, allontanata ogni ragione di ansia e di tristezza, si espongono al caldo sole dell'amore di Dio. Oggi, ancora una volta, il Signore Gesù ci propone i suoi insegnamenti vitali sotto le vesti pittoresche di una parabola, nella concretezza eloquente di un racconto: la verità ci è offerta incarnata ed espressa in un episodio di vita. Ed è anche questo un magistero: è l'invito a imparare a leggere in ogni semplice fatto, in ogni situazione, in ogni creatura nella quale ci imbattiamo l'eterna sapienza di Dio che dà senso e gusto a tutte le cose e di tutte si serve per metterci in comunione con la sua verità. L'episodio è quello di un ricco che, dovendo partire e prevedendo una lunga assenza, non vuole che il suo capitale resti infruttifero e perciò lo distribuisce tra alcuni suoi amministratori perché si diano da fare a farlo rendere. La distribuzione è diseguale: il padrone conosce la diversa capacità dei suoi servi e riparte il suo denaro in modo da correre i minori rischi possibili. E difatti i primi due sono abili e attivi, tanto da riuscire a raddoppiare la somma; il terzo invece è pigro, privo di iniziativa, inutilmente pauroso, e non riesce ad assicurare reddito alcuno. E in più è convinto di essere nel giusto, di aver agito con oculata prudenza e quindi di meritare gratitudine e apprezzamento. Il padrone invece lo punisce duramente, mentre riserva un'altissima ricompensa a quelli che l'hanno servito bene. Il messaggio contenuto in questa parabola è agevole da scoprire e ci offre una serie di certezze decisive per il buon uso della nostra vita. Nella prospettiva dell'ultimo incontro col Signore Gesù, che verrà un giorno a porre finalmente i sigilli alla vicenda ingarbugliata e tragica della storia umana, questa pagina evangelica ci sollecita a riflettere sul tempo che ci è dato e a trovare in esso un dono, un invito all'impegno operoso, una preparazione al rendiconto.
NULLA CI APPARTIENE PERCHE' TUTTO E' DONO
Tutto ciò che abbiamo, tutto ciò che siamo, è un dono. Tutto è stato ricevuto (intelligenza, affettività, salute, carattere, abilità, doti di comunicazione); tutto ciò che costituisce la nostra personalità è un regalo di Dio. Basta questo pensiero a ridimensionare ogni considerazione troppo orgogliosa o vanitosa e ogni pensiero depresso e scoraggiato. Non possiamo insuperbirci perché non abbiamo niente di nostro; e non dobbiamo avvilirci, perché ciascuno di noi è un'opera mirabile del Creatore, e ogni tristezza è un disconoscimento di quanto sia nobile e prezioso ciò che ci è stato donato. Come il padrone della parabola, Dio non fa mai agli uomini delle elargizioni uguali. Ciascuno è un caso a sé; ciascuno ha le sue ricchezze e le sue povertà, i suoi limiti e le sue qualità. È inutile perciò guardarsi intorno e confrontarsi: ogni paragone è impossibile e ogni giudizio rischia di essere ingiusto. Ciascuno di noi è solo di fronte al suo Dio; e non ha tanto importanza l'entità dei regali con cui è cominciata la nostra avventura terrestre, quanto l'impegno con cui ci si è dati da fare.
L'OMISSIONE, LA PIU' INSIDIOSA DELLE COLPE
L'impegno è però indispensabile. Gesù nella parabola condanna l'atteggiamento di chi si limita a evitare le perdite; cioè l'atteggiamento di chi si crede a posto con la propria coscienza e con Dio, perché non ha fatto niente di male. Chi si preoccupa solo di evitare il male, alla fine verrà condannato, perché non ha schivato la più insidiosa delle colpe, la colpa di omissione, che è la più pericolosa di tutte, perché di solito non lascia rimorsi. Sicché siamo invitati tutti a perfezionare i nostri esami di coscienza: a domandarci non soltanto se ci sono degli errori e delle macchie, ma anche a chiederci che cosa di bene positivamente abbiamo fatto. E il bene, secondo l'insegnamento evangelico, sta tanto nella coscienza, nell'amore, nella lode di Dio, quanto nell'aiuto, nell'interessamento fattivo, nella simpatia offerta ai nostri fratelli.
IL RENDICONTO FINALE
Infine in questa pagina di Vangelo c'è l'idea del rendiconto. Un'idea che ritorna frequentemente nei discorsi del Signore, e che è fondamentale nella visione cristiana. Un uomo che dica (e quante volte abbiamo tutti la tentazione di dirlo): "Io non devo rendere conto a nessuno", è un uomo molto lontano dalla parola di Cristo e dalla verità delle cose. Tutti i servi, a uno a uno, sono chiamati dal padrone, appena ritorna; tutti, ricchi o poveri, intelligenti o ritardati, potenti o deboli, prepotenti o miti, fortunati o sfortunati, tutti alla fine incontriamo un giudizio. E quello sarà veramente il momento della giustizia, alla quale ogni cuore d'uomo aspira invincibilmente. Ed è l'unico momento della giustizia del quale il Signore ci ha parlato e del quale ci ha dato precise e invincibili garanzie. Se lasciamo impallidire dentro di noi il pensiero di questo giudizio o lo lasciamo sottinteso e inoperante nella nostra coscienza, non siamo veri discepoli del Signore. Domandiamo la grazia di saper vivere in questa attesa vigilante e operosa, perché possiamo ascoltare anche noi la parola consolante, che ci ripagherà di ogni afflizione: Prendi parte alla gioia del tuo padrone. Noi siamo fatti per la gioia, ed è un destino di gioia eterna e sovrumana, quello che il Signore ci assicura per una esistenza che è stata veramente spesa per lui.
Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire".
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