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Girano diversi articoli nei quali si riportano frasi vecchie di secoli nelle quali alcuni barbogi si lamentano dei giovani. Ad esempio Aristotele: «I giovani sono magnanimi; poiché non sono ancora stati umiliati dalla vita, anzi sono inesperti delle ineluttabilità, e il ritenersi degni di grandi cose è magnanimità: e ciò è proprio di chi è facile a sperare [...]. Essi credono di sapere tutto e si ostinano al proposito; questa è appunto la causa del loro eccesso in tutto»; oppure Orazio: «Questa gioventù di sbarbati... non prevede ciò che è utile, sperperando i suoi soldi».
Lo scopo di queste citazioni è più o meno questo: i vecchi si sono sempre lamentati dei giovani, eppure il mondo è ancora qui. I vecchi non amano i cambiamenti e rimpiangono la loro gioventù; per questo il loro mondo gli sembra migliore dell'attuale. Sì, può essere: in effetti in molti considerano infanzia e giovinezza come un periodo bello della loro vita; attribuiscono quindi a quegli anni la bellezza che, invece, era solo nei loro occhi. Tuttavia... se questo bias esiste, non esiste solo per i vecchi: anche i giovani potrebbero leggere con gli occhi della bellezza un mondo e un'epoca che così bella forse non è. Quindi: uno e uno, palla al centro.
I boomer, tuttavia, potrebbero a loro volta obiettare che loro sanno com'era il passato, mentre i giovani non lo sanno. Solo chi ha vissuto il passato può confrontarlo con il presente in modo credibile. A loro volta, i giovani potrebbero replicare «Ok, boomer», aggiudicandosi la partita: coi vecchi è inutile parlare, non sanno niente e non capiscono niente.
È, dunque, un problema insolubile?
Da una parte, la contrapposizione tra generazioni è un tema che ritorna ciclicamente (non so quanto in modo spontaneo) nei momenti turbolenti: negli anni della contestazione i giovani dicevano più o meno le stesse cose dei «matusa». Dall'altro lato, credo che si tratti della solita questione: pensiero classico contro pensiero moderno. Questi due pensieri hanno una concezione del tempo, naturalmente, opposta.
Il pensiero classico è attraversato dal mito dell'età dell'oro, età del latte e del miele che, progressivamente, è degradata. Il cristianesimo fa riferimento, all'origine dei tempi, nientemeno che al paradiso terrestre, nel quale gli uomini erano più vicini a Dio non solo cronologicamente o fisicamente, ma anche ontologicamente. Dal peccato originale e dalla cacciata, la storia dell'umanità è una progressiva decadenza e un allontanamento dal progetto originario di Dio. Si potrebbe obiettare: ci sono stati dei picchi come il Medioevo e la Controriforma.
Ora: io adoro l'architettura gotica e l'arte barocca, dal punto di vista artistico sono indubbiamente delle vette. Tuttavia, come faceva notare qualcuno: davvero i quadri di Caravaggio o le composizioni del Palestrina inducono all'elevazione spirituale? Bisogna riconoscere che l'architettura romanica, il canto gregoriano e ambrosiano, hanno una valenza spirituale superiore. E poi? Esaurita anche la spinta controriformistica? Un progressivo e inesorabile allontanamento dal progetto originario di Dio. Ma Dio stesso è venuto sulla terra! Certo, ma per spalancarci le porte del Cielo, non per migliorare questa valle di lacrime.
Opposta la visione del tempo della modernità: che si faccia riferimento a Comte, a Darwin, Hegel o a Marx, per la modernità ciò che è attuale è necessariamente meglio di ciò che è stato. Le «magnifiche sorti e progressive» cantate (ironicamente?) da Leopardi (Giacomo).
Quindi: per chi è nato e cresciuto in un mondo che, anche solo per inerzia, era ancora un mondo classico (greco, romani e cristiano) è facile pensare che «prima della guerra anche il fango era migliore», come dicono in Polonia: per chi è nato e cresciuto in un mondo integralmente moderno è ovvio che l'oggi è meglio di ieri e non può essere altrimenti.
Cosa ne penso io? Che non so se sia meglio ieri o oggi e nemmeno se abbia senso parlare di meglio o peggio. Tutto ciò che è del mondo cambia, nulla dura in eterno. Tutto è effimero e vano. Tranne la Croce di Cristo. Stat Crux, dum volvitur orbis.
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