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Forse si sono sbagliati.
Le scene di devastazione e guerriglia urbana, a Londra e Strasburgo (ma non a Praga!), sulle quali campeggia la bandiera rossa con la falce e martello; i sequestri di manager e «padroni», che tendono a «travestirsi» e comunque a non farsi notare troppo.
Scene di una rinascente lotta di classe? Esordio di una nuova stagione di tensioni rivoluzionarie?
È certo presto per dirlo, e perciò «forse» si sono sbagliati.
Ma è altrettanto certo che comunisti e comunismo non sono stati incalzati come sarebbe stato necessario e giusto. Troppo presto si è dato tutto per finito, e nessuno ha davvero voluto che venissero depositati i bilanci del fallimento. Si è fatto come se niente fosse accaduto. Al massimo un sorrisetto di compatimento – non senza una qualche simpatia per la generosa ingenuità – nei confronti di chi si attardava a dirsi comunista, e a perseguire il sogno della società dei liberi ed uguali – senza Dio, senza patria, senza famiglia e senza proprietà –, che avrebbe generato l’«uomo nuovo». Un sogno che già si era rivelato un incubo, com’è proprio di ogni utopia. Ma era bello e soprattutto «magnanimo» crederci. Il pregiudizio positivo è rimasto. Nessuno ha fatto una campagna anticomunista – paragonabile per intensità, capillarità, continuità e durata all’antifascismo ideologico, culturalmente egemone e di Stato – che mettesse in evidenza il carattere criminale dell’ideologia e dell’esperimento comunista; che rendesse parte del senso comune che decine di milioni di vite, probabilmente ben oltre i cento milioni, sono state sacrificate sull’altare di questo «sogno bello e generoso»; che evidenziasse come nessuno, ma proprio nessuno, dei problemi sociali di cui si annunciava la soluzione perfetta e definitiva è stato risolto. Anzi, quanto a quest’ultimo aspetto, il collettivismo, lo statalismo, il contrasto alla ricchezza, alla proprietà privata e al mercato – in ogni sua modalità, da quella hard sovietica, a quella soft socialdemocratica e dirigista – nonché ridurre la povertà l’hanno aggravata e generalizzata, portandola all’estremo della carestia e togliendole anche la speranza.
Un progetto criminale e fallimentare, dunque, mortifero, affamatore e tirannico. sempre e dovunque sia stato sperimentato. Eppure, questo non è bastato per rendere impresentabile in società il nome stesso del comunismo. Eppure, nonostante l’entità del disastro, tutto sembra essere stato dimenticato, come hanno lamentato recentemente i vescovi dell’Europa centro-orientale. Forse perché, come gli stessi presuli hanno denunciato, il comunismo ha avvelenato il suolo della cultura e della civiltà, ed allora non se ne può parlare e film come Katyn non devono circolare.
Per molti, il comunismo torna a essere una soluzione. Per altri, con i comunisti si può trattare, si possono concludere alleanze, perché «il comunismo è finito» (curioso modo di ragionare: provino ad applicarlo al nazionalsocialismo, che del resto è del comunismo fratello gemello eterozigote). Per tutti, comunque, il pericolo, se pure è stato tale, è scampato, e «l’anticomunismo è un disco rotto» (Fini e Follini).
Forse si sono sbagliati. Forse si sbagliano.
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