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I musulmani non possono pregare nella cattedrale di Cordova. Permettere il cosiddetto «uso condiviso» sarebbe solo «un eufemismo, che significa: cattolici, andatevene via di qui». E al vescovo di Cordova, monsignor Demetrio Fernandez, gli eufemismi non piacciono per temi così delicati. Parla chiaro e tondo, quando ricorda: «Dove pregano i musulmani non può pregare nessun altro». La questione è di vecchia data: gruppi e associazioni islamiche reclamano la possibilità di pregare nel tempio, che un tempo fu una moschea: nella città andalusa l’argomento è sempre di estrema attualità. Non sono mancati gli incidenti. Lo scorso aprile un gruppo di turisti austriaci di religione islamica aggredì le guardie di sicurezza della cattedrale, che intervennero quando questi cercarono di pregare all’interno della chiesa. La vicenda terminò con diversi arresti.
Impossibile evitare l’argomento, a Cordova. Monsignor Fernandez lo ha toccato in una recente intervista, in cui ha spiegato: «La risposta alla richiesta sull’uso condiviso della cattedrale è no, non ce ne andiamo, perché in questo luogo la Chiesa cattolica è presente da 16 secoli, mentre i musulmani vi sono stati quattro secoli e mezzo». Non c’è volontà di polemica, al contrario. La Chiesa cattolica – che è titolare del tempio attraverso il capitolo cattedralizio di Cordova – ha «una buona relazione con i musulmani» e vuole collaborare con chi professa la religione islamica nella ricerca di «pace, giustizia e convivenza fra popoli. Ma questa è una cosa e un’altra cosa ben distinta è volere condividere lo stesso tempio per il culto». Impossibile. Sarebbe come «dire ai cattolici: addio, buona notte. Sarebbe un’irresponsabilità». Quando la città andalusa fu riconquistata dai cristiani, nel 1236, la moschea fu riconsacrata come Cattedrale di Santa Maria di Cordova. Per questo alcune organizzazioni islamiche ne rivendicano l’uso. Ma in realtà, sotto il tempio islamico, ci sono i resti della basilica dedicata al martire San Vincenzo, del VI o del VII secolo.
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