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JEROME LEJEUNE
Il grande scienziato che perse il nobel perche' difese gli handicappati
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Il più grande difensore della vita: Movimenti per la vita europei concordi nella scelta del grande genetista come «simbolo» da proporre a un continente confuso.

Scriveva Giovanni Paolo II, in una lettera al cardinale Lustiger, arcivescovo di Parigi, in occasione della morte di Jérôme Lejeune: « Nella sua condizione di scienziato e di biologo era un appassionato della vita. Arrivò ad essere il più grande difensore della vita, specialmente della vita dei nascituri, così minacciata nella società contemporanea da pensare che sia una minaccia programmata.  Lejeune assunse pienamente la particolare responsabilità dello scienziato, disposto ad essere segno di contraddizione, senza fare caso alle pressioni della società permissiva e all’ostracisimo di cui era vittima». Parole che dicono molto di una delle più straordinarie figure di ricercatore e di credente del ’900, di cui nel 2007 è stata tra l’altro aperta la fase diocesana della causa di beatificazione.
A  lui ieri a Strasburgo i Movimenti per la vita europei hanno assegnato – in memoria – il loro premio continentale intitolato a Madre Teresa (se ne riferisce in questa pagina). Una scelta carica di forza simbolica al cospetto di un continente in pieno oblio di se stesso.
  Nato nel 1926 in Francia, a Montrouge sur Seine, dopo la laurea in medicina Lejeune diventa ricercatore al Centre national de la recherche scientifique e in seguito verrà nominato esperto internazionale per la Francia sull’effetto biologico delle radiazioni nucleari. A 32 anni, nel 1958, scopre l’anomalia genetica che causa la sindrome di Down – la trisomia del cromosoma 21 – malattia a cui da sempre è interessato anche per un suo fratello nato, come si diceva un tempo, 'mongoloide'.
 Seguono altre scoperte: la monosomia 9, la trisomia 13. Guadagna una grande notorietà, aprendo la via alla moderna citogenetica. E nel 1962 è nominato esperto di genetica umana dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Nel 1972, però, si apre in Francia il dibattito sulla legalizzazione dell’aborto e Lejeune prende apertamente posizione in favore dei tanti 'Pollicino' – come chiama affettuosamente l’essere umano in gestazione – che rischiano di essere sacrificati alla menzogna del politicamente e scientificamente corretto. A New York, alla Sede dell’Onu, in una seduta in cui si parla di aborto, interviene sostenendo che un’istituzione per la salute non può trasformarsi in un’istituzione di morte. La sera stessa scrive alla moglie: «Oggi pomeriggio ho perduto il Nobel».
Da quel momento, racconta Carlo Casini nella prefazione a La vita è una sfida (Cantagalli, pagine 166, euro 13), ritratto dello scienziato francese scritto dalla figlia Carla, comincia la sua «emarginazione»: «La scienza ufficiale non lo chiama più; i finanziamenti per le sue ricerche vengono ritirati; in qualche modo è costretto a mendicare per continuare i suoi studi; talvolta, anche con minacce, gli viene impedito di prendere la parola; sul muro della facoltà di medicina compaiono scritte come 'Lejeune trema... Lejeune assassino. A morte Lejeune' e anche 'A morte Lejeune e i suoi mostricciattoli'....
  L’intolleranza 'laica' lo colpisce proprio nella sua specifica vocazione di scienziato che vuole servire insieme la verità e la vita, che scopre l’intimità biologica dell’uomo per guarire i suoi malati. Ma Lejeune risponde con serenità e 'forza tranquilla'».
E con tale tranquillità diventa presidente onorario dell’associazione 'Sos futures mères' (il primo movimento pro-vita francese), opponendosi all’aborto e alla Ru486, che definisce «il primo pesticida umano».
  «Ha conosciuto la rinuncia alle cose del mondo, alla gloria, alla celebrità, ai riconoscimenti scientifici – scrive la figlia Carla –. Ha conosciuto il tradimento di amici, il logorio amministrativo, la moderna condanna esercitata dalla stampa... se ha sofferto non lo ha mai fatto capire. Davanti ai soprusi, sorrideva dicendo: 'Non combatto per me, allora gli attacchi non hanno importanza'».
Nel 1992 iniziano i lavori che porteranno alla nascita della Pontificia Accademia per la Vita, che viene ufficialmente istituita da Giovanni Paolo II l’11 febbraio 1994. Pochi giorni dopo, il 26 febbraio, Lejeune riceve, mentre già si trova sul letto di morte, la nomina a Presidente. Muore la domenica di Pasqua, il 3 aprile.