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È da più di quarant’anni, dal 1967, che la legge italiana ha autorizzato la donazione di rene da soggetto vivente a paziente in pericolo di vita, subordinando questa eccezione al principio giuridico fondamentale dell’indisponibilità del corpo umano alla condizione che la donazione avvenga tra parenti strettissimi (genitori, figli, fratelli), tra coniugi e, solo in via subordinata, tra estranei. Il riferimento agli estranei è sempre stato interpretato ristrettivamente, come riferito a coppie di conviventi o comunque a persone unite da fortissimi e conclamati vincoli amicali. Si può estendere questa normativa al caso di una donazione a estranei sconosciuti? Si può autorizzare una simile donazione "samaritana" (come la qualificano i bioeticisti)? E’ evidente che poco rileva che questo tipo di donazione non potrà che coinvolgere, come è intuitivo, se non un numero statisticamente irrilevante di persone; la questione è strettamente di principio e come tale va valutata.
Raggiunto da un quesito formulato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, il Comitato nazionale per la bioetica ha risposta positivamente, ritenendo altamente apprezzabile questa estrema forma di donazione. Personalmente, gli argomenti addotti dal Cnb non mi sono sembrati del tutto convincenti e vorrei spiegare perché. Per giustificare la donazione samaritana si possono usare, essenzialmente, due tipi di argomento, che il Cnb non ha distinto espressamente tra loro (accettandoli quindi, implicitamente, entrambi). Chiamerei il primo argomento "oblativo", il secondo argomento "dispositivo". La giustificazione oblativa della donazione samaritana di rene è limpida: il donatore si fa prelevare un rene non per un vincolo affettivo che lo unisce al malato destinato a usufruire del suo dono, ma "per amore dell’umanità". Sotto questo profilo la donazione samaritana è un atto che eccede le nostre stesse possibilità di immaginazione. Se è eroico donare il rene a un consanguineo o a un amico personale, la donazione samaritana si proietta al di là dello stesso eroismo, in un’atmosfera etica così straordinariamente rarefatta, da apparire più pensabile che esperibile (quando mai, ragionevolmente, ci capiterà di conoscere un donatore samaritano?). Ritengo impossibile che il diritto possa regolamentare e garantire una donazione così nobile (perché di questo si tratta e questo la legge pretende); il diritto riesce appena a gestire, e con grande fatica, alcune di quelle pratiche che i moralisti chiamano "supererogatorie" (cioè meritevolissime sì, ma non esigibili) ed infatti autorizza la donazione tra parenti o tra amici strettissimi, perché si tratta di situazioni fattuali "controllabili" e la cui autenticità può quindi essere garantita, anche se con difficoltà. Ma la nobiltà della donazione samaritana può essere solo ipotizzata; non di certo controllata.
Ben più consistenti i problemi che nascono dalla giustificazione "dispositiva" della donazione samaritana. Questo tipo di giustificazione viene ricondotto, alla fin fine, al diritto che si dovrebbe riconoscere alle persone di "usare" insindacabilmente il proprio corpo, come se fosse una loro proprietà materiale: in questa prospettiva anche il riferimento alla donazione tra consanguinei viene a perdere rilievo, perché non alla forza dei vincoli familiari dovremmo far riferimento, ma alla mera volontà del donatario, le cui intenzioni etiche non sarebbe nemmeno lecito verificare. Questo paradigma, anche se viene evocato per giustificare un atto comunque benefico come la donazione di un rene, è a mio avviso inaccettabile, perché favorisce oggettivamente una totale depersonalizzazione del corpo umano, riducendolo a semplice materiale biologico, eticamente irrilevante.
Saggio quindi il legislatore italiano del 1967, che vincolava la donazione di un rene allo stretto contesto familiare: solo i vincoli familiari (assieme ai vincoli coniugali e ai vincoli affettivi oggettivamente comprovabili) garantiscono l’autenticità morale della donazione ed escludono il rischio che dietro la donazione samaritana si possano fare strada poco nobili ragioni di interesse economico (sempre in agguato) o ragioni nobili sì, ma solo in apparenza, come quelle di una prodigalità narcisistica che giunge fino all’assurda volontà di disporre improvvidamente perfino dei propri organi.
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