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Il Vangelo di oggi fa parte della serie delle dispute di Gesù con i principali responsabili religiosi del suo tempo. Nel Vangelo secondo Matteo l'episodio non dà adito ad alcun dubbio: si tratta proprio di una disputa. L'Evangelista infatti inizia annotando che «un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova» (Mt 22,35). Nel Vangelo di san Marco, invece, lo scriba che interroga Gesù, anche se, forse, inizialmente era prevenuto nei confronti del Maestro, in seguito rimane positivamente impressionato dalla sua risposta, tanto da lodarlo: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità». è uno dei rari casi in cui Gesù riceve un riconoscimento da parte dei capi religiosi dei giudei.
La domanda che lo scriba rivolge a Gesù: «Qual è il primo dei comandamenti?», era una nota questione, che riceveva diverse risposte dalle varie scuole rabbiniche del tempo. è risaputo che «i rabbini giudei – come ci informa padre Marco Sales – dividevano i 613 comandamenti della legge (248 precetti e 365 proibizioni) in due classi: gravi e leggeri. Non si accordavano però tra loro nel determinare quali appartenessero all'una o all'altra classe, e meno ancora nel fissare le condizioni perché un precetto potesse dirsi grave. Per questo vi era chi diceva più grande il precetto dell'osservanza del Sabato, perché più antico; chi diceva più grande la circoncisione, ecc. La domanda fatta a Gesù si prestava quindi a mille cavilli e mirava a trascinarlo nelle dispute che dividevano le varie scuole».
Gesù risponde con due citazioni della legge mosaica. La prima è una parte della preghiera o professione di fede più comune dei giudei, detta "Shemà", dalla prima parola con cui inizia: «Ascolta, Israele...» (cf la Prima Lettura di oggi). Essa è costituita da tre sezioni bibliche (Dt 6,4-9; 11,13-21; Nm 15,37-41), precedute e seguite dalla recita di alcune benedizioni. Gli ebrei recitano questa preghiera, con profonda riverenza due volte al giorno, la mattina e la sera e, privatamente, prima di coricarsi. I rabbini insegnano, tra l'altro, che le parole dello Shemà sono 245. Ripetendone l'ultima espressione diventano 248, tante quante sono, per tradizione, le membra del corpo umano, come per dire che bisogna aderire alle parole dello Shemà con tutta la propria persona.
Con questa prima citazione Gesù riafferma anzitutto l'unità di Dio, poi, attraverso espressioni sinonime, ricorda l'impegno ad amarlo «sopra tutte le cose – continua il Sales –, in modo che a lui siano indirizzati tutti i pensieri della mente, tutti gli affetti del cuore e tutte le operazioni. La misura di amar Dio è amarlo senza misura». Questo è, dice Gesù, il «più grande e il primo dei comandamenti» (Mt 22,38). Però ne aggiunge subito un secondo, che, dice ancora il Maestro, è simile al primo: «Amerai il prossimo tuo come te stesso». Accanto al precetto dell'amore di Dio va messo sempre quello dell'amore del prossimo.
è vero che il precetto della carità verso il prossimo letteralmente era già contenuto nell'Antico Testamento, esattamente in Lv 19,18. Non è dunque una novità assoluta introdotta da Gesù. Tuttavia, alla luce di tutto l'insegnamento evangelico e, soprattutto, alla luce della testimonianza stessa di Gesù, che ha offerto la sua vita per l'umanità, si può affermare che esso acquista un significato molto più profondo e allo stesso tempo molto più impegnativo. Infatti, mentre prima il concetto di "prossimo" era molto limitato, relativamente ristretto, per Gesù il prossimo è ogni persona bisognosa di aiuto che si incontra. Non solo, ma prossimo è anche chi fa del male, il nemico, che va perdonato e persino amato.
Nel Discorso della montagna Gesù, perfezionando la legge antica, afferma: «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori» (Mt 5,43s). In un'altra occasione Gesù aggiungerà: «Fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l'altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica» (Lc 6,27-29).
Gesù, con questa duplice risposta, indica il principio unificatore di tutta la Legge e i Profeti, ossia di tutta la Sacra Scrittura. La novità e la grandezza di queste parole consiste nell'aver unito insieme i due precetti, in modo che formino quasi un'unico Comandamento, che abbraccia e comprende tutti gli altri. Anzi, tutti i Comandamenti ricevono il loro vero senso dal precetto più grande, quello dell'amore di Dio e del prossimo.
I due Comandamenti vanno sempre insieme, tuttavia non sono sullo stesso piano. Gesù dice chiaramente che l'amore del prossimo è il "secondo" Comandamento. Non si può dunque appiattire o ridurre il Comandamento dell'amore di Dio a quello dell'amore verso il prossimo. L'amore di Dio è il fondamento dell'amore verso i fratelli. Solo se ci sarà una profonda fede in Dio e un attento ascolto della sua Parola, l'amore del prossimo potrà raggiungere la perfezione ed essere praticato in tutta la sua radicalità. L'amore di Dio modellerà il nostro amore verso il prossimo. è vero però anche il contrario. Senza amore verso il prossimo, non ci può essere vero amore e vera conoscenza di Dio, come dirà esplicitamente san Giovanni: «Se uno dicesse: "Io amo Dio", e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello» (1Gv 4,20s).
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