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Nelle scorse settimane è ricorso il terzo anniversario dello scandalo di Bibbiano. Non semplicemente un "caso" ma l'emersione di un fenomeno che, nel giro di molti anni, è diventato la prassi a vari livelli istituzionali. Le prime vittime sono stati i bambini ma è evidente che la problematica coinvolge le famiglie nel loro complesso. Pro Vita & Famiglia ne ha parlato con Vincenza Palmieri, fondatrice dell'Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare, che ha dato recentemente alle stampa il Manuale di pedagogia familiare. Aiutiamo le famiglie a casa loro (Armando, 2022).
Professoressa Palmieri, per riprendere il sottotitolo del suo ultimo saggio, qual è il valore aggiunto dell'"aiutare le famiglie a casa loro"?
«Significa ribadire la necessità di aiutarle nel proprio "territorio". Lo dico, con riferimento agli interventi autoritativi che disgregano il nucleo familiare anziché supportarlo, come previsto non solo dalla Costituzione ma da una serie di norme e di leggi che, al contrario, intendono preservare questo istituto. Dal momento che, in Italia, abbiamo un enorme numero di bambini - per l'esattezza 23 al giorno - che, attraverso interventi autoritativi, vengono collocati lontano dalla loro famiglia e dalla loro casa, è giusto interrogarsi rispetto a questa pratica. Ritengo sarebbe più corretto, ad esempio, laddove ci fosse un adulto maltrattante, che sia quell'adulto ad essere allontanato e non il bambino. Non posso accettare l'idea che, in tutto il nucleo familiare - padre, madre, nonni, fratelli - non possa esserci un familiare valido. Va "punito" (corretto, aiutato, sostenuto) solo l'adulto abusante, colui che sbaglia, non il bambino. Aiutare le famiglie a casa loro, quindi significa offrire ogni sostegno necessario senza smembrare le famiglie: dare loro una casa, quando necessario, quindi, politiche alloggiative, politiche occupazionali, che permettano a mamme e papà di avere un lavoro che li aiuti a stare il più possibile vicino ai figli, ad esempio, per mezzo dei micronidi aziendali. Andrebbe invece evitato l'orrore di strappare con la forza un bambino al proprio genitore, perché povero o troppo amorevole o "iperprotettivo" o cosiddetto disfunzionale, inidoneo, simbiotico (purtroppo le motivazioni sono sempre soggettive, opinabili, discriminanti) per portarlo in una struttura dove può accadere di tutto, dove soprattutto il vissuto di un bambino è sempre abbandonico».
Lei afferma che molte strutture che ospitano minori andrebbero chiuse: come affrontare il problema della ricollocazione dei loro dipendenti?
«Le strutture di contenimento e i "manicomi per bambini" vanno chiusi, su questo non possiamo transigere. Non è possibile che dei bambini vengano contenuti in strutture con le sbarre, dove si usano trattamenti psicofarmacologici invasivi che non vengono nemmeno prescritti, con frequenti passaggi dalla struttura al TSO o al reparto di psichiatria. Sarebbe necessario un serio controllo e andrebbero impedite queste storture del sistema. Dovrebbero funzionare, doverosamente monitorate, soltanto le strutture legate all'emergenza e per il tempo strettamente necessario. In Italia, c'è una relazione diretta tra i posti letto nelle comunità e i posti di lavoro. Tutto si basa su questo connubio. I posti letto in queste strutture non possono rimanere vuoti, perché ognuna di quelle strutture ha bisogno di un certo budget mensile legato ai posti letti. Il personale che oggi è incaricato di compiere interventi autoritativi sulle famiglie potrebbe essere riqualificato per svolgere invece funzioni educative/correttive/riabilitative/integrative/supportive, come necessita».
Come riqualificarle, dunque, queste strutture?
«La prospettiva potrebbe essere quella di trasformarle in centri per la famiglia, in centri ludici o per il dopo scuola oppure in centri diurni professionalizzanti, cineforum, centri di supporto al quartiere, ai ragazzi, comunque di aggregazione. Allontanare un bambino dalla famiglia significa far male a lui e alla sua famiglia. La comunità, la casa-famiglia o la collocazione presso una famiglia affidataria dovrebbero limitarsi a essere una soluzione temporanea. La famiglia problematica, non in grado di occuparsi adeguatamente dei suoi bambini, va aiutata a rimettersi in condizioni di farlo: questo, però, non avviene o non come dovrebbe. Con il risultato che i bambini rimangono fuori famiglia fino alla maggiore età e, quando poi ritornano nella loro famiglia d'origine, questa è la stessa che hanno lasciata; non sono stati attivati quei progetti previsti proprio nel piano di affidamento temporaneo extrafamiliare. Non ci si occupa della famiglia, quanto di occupare posti (molto costosi) in casa-famiglia. Come ho già detto, ciò avviene proprio perché il posto letto in queste strutture non può essere lasciato inoccupato e, quando si libera, viene subito "occupato" da qualcuno dei circa 500mila bambini in carico al Servizio Territoriale».
In che misura il tema che lei affronta nel suo ultimo saggio, si inserisce negli scandali legati al "metodo Bibbiano"?
«Bibbiano è solo la punta di un iceberg. Certo, mi riferisco a fatti noti alle cronache ma se qualcuno indagasse in ogni comune d'Italia, non so quante amministrazioni si salverebbero. Inoltre, non è solo una questione di case-famiglia, la filiera è così ampia che sono in tanti a mangiare in questo "piatto ricco"».
A chi si riferisce?
«C'è un grande giro di denaro intorno alle cooperative, che oggi sembra stiano tamponando la questione della disoccupazione in Italia. Ogni municipio ha decine tra cooperative e associazioni "convenzionate" che garantiscono i Servizi. Bisognerebbe controllare di più in questo ambito visto che ci sono bandi che coprono, in convenzione-appalti, centinaia di migliaia di posti di lavoro privati. Smantellare questo sistema che scorre sulla pelle dei bambini, che ha bisogno di bambini per alimentarsi e tenersi in vita, significa riqualificare o reimpiegare centinaia di migliaia di operatori del terzo settore ma se mai iniziamo questo processo, mai lo porteremo a termine».
In questa emergenza sociale, ritiene ci sia un ruolo della magistratura da rivedere?
«I giudici sono sommersi ogni giorno dalle migliaia di carte che arrivano sulle loro scrivanie: relazioni degli educatori, degli assistenti sociali, delle case-famiglia, dei curatori, ecc. I giudici hanno una responsabilità notevolissima, dovrebbero andare oltre relazioni basate su dati soggettivi, conclusioni fondate su punti di vista e valutare, invece, solo fatti e prove concrete. Ogni tanto ci vorrebbe un magistrato che pensasse: "Troppi casi per essere veri". E iniziasse a indagare. Sì, ci vorrebbero più indagini, più verità e più giustizia. E, dal momento che la situazione chiama in causa la politica, metterebbero in crisi il sistema politico. Questo non sarebbe un male, tutt'altro. Per il benessere supremo dei bambini e della nostra società tutta, si dovrebbe farlo, e basta».
Nota di BastaBugie: il terribile mercato dei bambini dati in affido non è solo a Bibbiano.
Per i 35.000 minori dati in affido in Italia ogni anno nel 99% dei casi non ci sono motivazioni derivanti da fatti concreti, ma solo giudizi soggettivi da parte da assistenti sociali e giudici. In pratica si tolgono i figli ai genitori per interesse di tipo economico da parte degli enti privati che gestiscono gli istituti che percepiscono soldi pubblici. Insomma: lo Stato ti porta via i figli come accade nei totalitarismi.
Non basta punire i colpevoli di una singola vicenda come Bibbiano, ma va eliminato il controllo dello Stato sulle famiglie limitando l'intervento della magistratura alle sole situazioni gravissime e con fatti accertati.
VIDEO: BIBBIANO E' IN TUTTA ITALIA
Già nel 2013 si sapeva già tutto (anche il CSM è complice)
L'avv. Francesco Morcavallo a Mattino 5 ospite di Federica Panicucci affermava che "in situazione di disagio sia sociale, sia economico, si interviene con strumenti autoritativi che sono simili a quelli degli ordinamenti totalitari".
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DOSSIER "SCANDALO BIBBIANO"
Bambini tolti illegalmente alla famiglia
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